ALL’ORA DI PRANZO
giovedì 17 marzo 2016 


Il sole del primo pomeriggio infierisce piacevolmente sulle mie membra svestite e accasciate sulla seggiola in attesa della portata richiesta. Intanto lo sfrigolio della bionda radler rinfrescandomi il secco in gola addomestica pure lo stomaco in attesa del cheeseburger. Sotto di me, i tetti di Cattinara d’Istria  riceveranno la luce solare ancora per poco; più giù la Valle del Risano invece si prende di traverso il luccichio della punta del campanile di Rožar più sopra o dell’antenna di Tinjan più in alto. La natura qui è sfregiata dal colosso di cemento del ...Viadukt...il viadotto di Črni Kal modernamente maestoso sull’Alta Valle dell’Ospo lascia sfilare il traffico feriale dell’autostrada, attraverso le trasparenti paratie si intravede lo scarso movimento. Sullo sfondo dalla parte opposta Kubed con lo squarcio geologico sottostante mi fa socchiudere lo sguardo da dietro l’occhiale oscurante. Ma ecco il mio pranzo, per me insolito quest’oggi però molto invitante. Refoli di gelida bora sfilano ai lati della riparata terrazza del Moto Point Viki Burger incassato nella “ S “ prima di San Sergio per chi sale, a ricordarmi che l’inverno non è ancora concluso anche se qui, su questo balcone, è la primavera che mi sta coccolando. Vengono dal basso e regolarmente le bordate motoristiche per un gioco continuo lungo i tornanti della vecchia strada Koper-Ljubljana che qui prima di Črni Kal ti obbliga quasi a fermarti, a meno che tu non abbia già deciso di farlo presso l’MPVB come sovente capita. 
Una giovane coppia di triestini, casco in mano e vestiti da boriosi studentelli al termine della 6^ ora, piuttosto che in dosso tute di pelle tecnicamente perfette e adatte alla motociclistica digressione oltre confine, si accomodano al tavolino accanto per soltanto una bibita analcolica. Il cheeseburger ha fatto il suo dovere, soddisfacendomi e saziandomi, pure la birra al grapefruit non ha mancato di darmi un senso di piacere e risollevarmi lo “ spirito “. Mi sto appisolando, ma lo sbaciucchio continuo dei due ragazzi distoglie il mio rilassamento e inevitabilmente ascolto il vanto delle prodezze motociclistiche di lui che a 218 km/h mentre usciva dal tunnel ha mandato lei in fregola nonostante fosse ancora provata dalla verifica di Diritto sulla quale aveva ancora dei dubbi riguardo l’esito. Devo anche ascoltarmi il rumore della moto uscire dalla registrazione che hanno fatto sullo smartphone e che li sta mandando in visibilio. Invece, i tre motociclisti trevigiani più in là, adeguatamente bardati questi, verosimilmente parlano di altre prodezze sorridendo all’indirizzo della procace cameriera dal taglio capelli a mannaia, il fumo delle loro sigarette si dissolve nell’aria senza importunarmi oltremodo. Alla mia destra le due coppie targate SLO, sono più impegnate nel mangiare che nel dialogare, per loro l’hamburger aveva bisogno di un integratore alimentare di supporto: un paio di piatti straboccanti pommes frittes. E’ ora di levare le ancore anche se la pasciutezza mi invita pennichella, sì sono proprio felice di come è andata questa 3^ uscita corsaiola del 2016. Anche lo scooter sembra avvertire la mia vivace allegria e mi porta tranquillamente verso casa condividendo tutta la mia euforia con la sua brillantezza motoristica.


“ Allora, com’è andata? “ Sembra interrogarmi lo scooter in attesa al parcheggio di Podgorje. E’ andata, è andata. Ma non sono ancora in grado di rispondere nemmeno a me stesso sul come...è andata. L’estasi del momento frammista alle contraddittorie sensazioni fisiche non mi permettono troppo di ragionarci sopra, deve ancora raffreddarsi del tutto il surriscaldato motore del mio corpo per permettere al cervello di realizzare quanto importante possa essere stata questa salita, forse inopportuna ma senz’altro rivelatrice di uno stato di forma a dir poco... meno che precario. Accidenti! Sono passati 2 mesi e mezzo, cosa potevo pretendere da questa 2^ uscita a dopo 2 giorni dalla prima, 30’ di sofferenza ieri l’altro, lungo l’argine nuovo del Rio Ospo, e di contrastanti sensazioni a rincorrersi fra testa e gambe. Dovevo dare una chiave di lettura più precisa alle mie intenzioni fin da subito e allora ecco questo splendido giovedì 17, che non è venerdì, a darmi lo sprone per una corsa lenta ovvero un’ escursione veloce verso una delle mete outdoor fra le mie preferite, i 1028 metri di quota del Taiano. Sono parecchio accaldato e coi battiti a mille, non oso nemmeno specchiarmi in uno dei due retrovisori per comprendere anche visivamente il mio stato fisico che la mia faccia sta sicuramente dettagliando in maniera perfetta. La discesa, com’era prevedibile, ha messo a dura prova la caviglia sinistra ancora ferita nel suo tentativo di recupero dalla storta di Capodanno patita in un’infida e traditrice corsa sui sentieri d’allenamento dell’S1. Un lungo stop poi protrattosi per altri eventi di salute che mi hanno costretto ad una forzata ma necessaria sosta.
E poi, dopo l’ok , dovevo ricominciare piano piano e quindi eccomi qui sul Taiano, meno di così non potevo impegnarmi altrimenti non avrei avuto gli stimoli giusti per dirmi con tutta sincerità:     “ Ce la farai a ritornare quello di prima. “


Sono da 10’ appoggiato al plinto di vetta con la testa fra le braccia, il respiro che rallenta vieppiù, lo sguardo non vuole ancora incontrare le immagini solite e amiche piuttosto cerca di vedere cosa sta succedendo dentro il mio corpo dove il ribollire delle sensazioni provate nei 45’ scarsi di salita non danno possibilità di raziocinio alla mia mente ma soltanto emozione da condividere con un cuore momentaneamente in affanno e un evviva che mi rimane in gola. L’acqua che mi sono portato dietro ricaccia nello stomaco l’esultanza strozzata ma anche la polvere che la bora e la salita mi hanno fatto ingoiare; detergo il sudore, salato come non mai, per il ritorno a una fatica che nonostante tutto mi è consona, quella di cui ho bisogno per concedermi una felicità finale. Adesso sì, posso voltarmi e voltarmi più volte per salutare le cime amiche, dal Monte Maggiore con ancora in testa un bianco cappello invernale, al Nevoso, che di invernale mantiene addosso pure il mantello, per non parlare dell’altezzoso Tricorno che vorrebbe celarsi nella foschia ma che a causa della sua imperiosità non può sfuggire al mio bonario rimprovero di avvezzo escursionista. Il Nanos ha oramai perso tutta la bellezza del suo albore come pure i Golachi verso nord – ovest che si atteggiano imponenti da dietro il ciglione del Cjaven. Sì sorrido, sorrido al piacere del ritrovamento, dopo lo smarrimento interiore che mi ha portato in tutt’altre direzioni, ritrovo qui nei 360° di questa bellezza che si può facilmente sfiorare e trattenere nei pugni delle mani e che al solo aprirle, il vento di nord-est disperde in mille orizzonti, dalle Giulie al Mare Nostrum, quell’Adriatico mare dove è in attesa la mia Muggia schiacciata dall’accecante luminosità odierna foriera di luce primaverile. Sento che sto tornando me stesso, la mia mente sta prendendo coscienza del gesto che si è susseguito riappropriandosi anche del mio corpo per consentirgli un rientro tranquillo, i pensieri e i ripensamenti verranno dopo. Allora guarda un attimo per dove devi scendere, volta le spalle a questo silenzio, rotto soltanto dal rumore dei refoli che sbattono contro la natura immobile, che sfilano sopra e a fianco di essa per finire a increspare il mare laggiù. Scendi, corri, corri ma fai attenzione, il tuo fisico non è ancora presente, dovrai riprendertelo un po’ per volta e senza fretta, ma corri!


200,300 metri e lo slancio iniziale si è già chetato, il respiro non può essere quello delle 20 gare del 2015, mi chiedo da subito cosa vado cercando in questa sortita semi alpina a questa ora dove la gente che lavora si prende un po’ di pausa e chi è a casa si appresta al desinare. Da parte mia né l’uno né l’altro, ho finito di lavorare e se ne avrò voglia pranzerò più tardi. Solitamente arrivo di corsa al sentiero ma stavolta il mio passo rallenta, si ferma molto prima, sarà questa la sua dimensione odierna, però quel passo mi porterà lassù senza altre pretese. So che devo concentrarmi su altre cose, sono mesi che manco da queste parti, non ho potuto venirci con la neve e nemmeno coi colori dell’autunno, probabilmente sono assente qui dall’afa di luglio o agosto e allora, quest’oggi, devo cercare la piccola natura che so mi accompagnerà. Sento nell’aria un odore di pulito, quasi di bucato, sarà che fra 4 giorni saremo a primavera e che l’ancor grigia natura si accinge alla trasformazione, sarà che i raggi di sole si infilano nel gelido di folate ancora per poco invernali, sarà che comunque il desiderio di salire mi sospinge o sarà qualche altro sprone ma faccio della regolarità il piacere di riaffrontare una salita. E’ anche un piacere interrompere la fissità dello sguardo per volgerlo all’inchino dei numerosi crochi e delle viole che assecondano il mio passaggio, ancora qualche primula tiene duro qua e là; i sassi sembra mi riconoscano e assumano per me sembianze umane, facce incredule e volti che sorridono al mio incedere; i rami degli alberi, grazie alla loro sinuosità, sollecitati e solleticati dal vento concertano l’ Inno alla Gioia dedicato alle mie speranze; contraccambio la natura con quelle che sono smorfie ma vorrebbero essere sinceri sorrisi; tendo le mani, ma non per cercare un appiglio, voglio sfiorare questo festival dell’amore che mi sta sorreggendo. E sono già fuori dal bosco, i prati sono ancora provati dalle intemperie delle settimane scorse, qui non ci sono ancora i colori delle primizie floreali, ma soltanto i toni scuri e mesti della stagione che sta per finire; sono un monito al mio eccedere d’entusiasmo adesso che intravedo il Rifugio e sopra di esso la meta: ma sarà poi la cima la mia vera meta di questo oggi rubato al quotidiano? Poco importa dove vorrei essere e/o dove sto andando, l’importante è che io ci sia e con tutta la mia voglia di esserci, dovrebbe essere sempre così, servirebbe a darci sostegno in qualsiasi circostanza d’incertezza. 300, 200 metri e lo slancio finale diviene tale nonostante il vento, sempre presente qui, sembra essermi nemico e respingere il mio arrivo, ma non sarà così nemmeno stavolta, perché oramai manca poco e questa mia particolare salita avrà fine. Il culmine è lì a pochi metri, oggi e mio soltanto mio, adesso me lo prendo e godo tutto.


12.05 segna il lettore mentre il badge sfila dalla fessura, sono già vestito in borghese pronto per andare. Lo splendore di questo giovedì 17 è tutto nella luminosità di un sole ormai primaverile e nell’azzurro del cielo ripulito da qualsiasi nube, grazie all’amata bora attenuatasi dopo la sferzata notturna. I commenti d’invida di qualche collega mi scivolano via di dosso perché non voglio perdere tempo in battute sarcastiche al loro indirizzo di operai che rimangono anche se la mia non è una fuga. Loro non sanno nulla del mio pellegrinaggio podistico, non capirebbero. Vai via veloce, non perdere tempo. Lo scooter è felice nei 20’ di percorrenza quasi solitaria che mi porteranno fino al parcheggio di Podgorje. Il sole sopra di me sembra illuminare soltanto me stesso nel mio spostarmi, i refoli di bora sembrano sollevarmi per farmi arrivare prima; ma perché tanta smania o è soltanto desiderio di ricominciare? Lungo il tragitto penso un po’ a quale itinerario mi affiderò per salire e scendere dalla cima del Taiano, penso soprattutto a quali difficoltà potrei incontrare sia in un senso che nell’altro, cerco di pormi con raziocinio di fronte ad una eventualità piuttosto che ad un’altra, penso anche al dopo, sarò a stomaco vuoto e avrò bisogno di....compensare, penso anche ad altre cose. Prima di Črni Kal c’è il Moto Point Viki Burger, ecco in un attimo ho già deciso che al ritorno mi fermerò lì per il pranzo e soprattutto per regalarmi il premio di una fresca radler. Fatta! Come si dice quando si vuol dare forza ad una decisione presa. Fatta! Oggi ho deciso di andare sul Taiano. Fatta! Sono arrivato a Podgorje e fra poco m’incamminerò e poi...Fatta? 

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