« LE STAGIONI DEL CUORE »


“Freschi sorrisi dei mille volti di un mondo tutto bambino. L’incanto toglie il respiro, la carezza si ferma nell’aria. Anch’io così sospeso, incerto volo di farfalla, vado a posarmi sulla naturale semplicità di cotanta bellezza.”

Sono disteso di sghimbescio su quest’ erba primaverile del prato che mi è apparso, come un disegno premeditato dalla natura, appena uscito dal querceto e a poco più di un’ora dall’inizio del nostro cammino. Sono oramai a poche decine di metri dalla cima che mi attende tranquilla beandosi di un tepido sole e allargandosi per le grida dei bambini e le famiglie in festa e in posa. Anche il Rifugio Alpino è in attesa, per lui, ieri sabato e oggi domenica, il dentro e fuori di numerosi escursionisti, chi per un tè, chi per una fetta di dolce, chi in attesa di un piatto di pasta, chi per riprendersi l’aria aperta, la carezza del sole e il gusto del panorama. 
Click! Click! Click! Sono accovacciato, sono disteso, per certe inquadrature, per rifilare l’orizzonte e concentrato, con il respiro sospeso nell’aria calda di questa mattinata di fine maggio.  La cima con i suoi spettacoli e il Rifugio con i suoi ospiti li ho oramai a pochi passi ma non ho fretta di raggiungerli perché oggi … Click! Click! Click!
L’erba di primavera si è punteggiata di mille colori che io cerco di catturare e sistemare sulla mia tavolozza d’improvvisato artista. Vorrei portarmi a casa un coloratissimo quadro, c’è ancora qualche spazio vuoto sulle pareti dell’emozione, lì nel mio cuore. Già ai margini della boscaglia alcuni begli esemplari di Dittamo ( Dictamnus Albus ) avevano richiesto una sosta molto attenta, non certo per accarezzarli, sappiamo tutti quanto questo fiore sia urticante, ma per riempirmi le nari del rinfrescante profumo di limone e l’occhio del suo bel colore rosato con venature porpora. Click! Click! Click! L’Asfodelo, sull’attenti a guisa di sentinella per il suo fiero portamento: l’antichità lo voleva a imbiancare con la sua tinta i prati dell’Averno, ma oggi qui riflette la luce del Paradiso. Click! Oh, la Barba di Becco! Chi non lo gradirebbe in salutare minestra per colorare di giallo il proprio appetito? Click! Toh! A proposito di mangiare, ci sono anche dei Raperonzoli: un’insalata mista che comprenda anche i suoi teneri germogli non sarebbe davvero male, magari fra poco, alla cucina del Rifugio. Click! Un’ Orchide Macchiata se ne sta in disparte, un calabrone indeciso sul da farsi si posa sui suoi petali per un improbabile banchetto ma se ne va sconsolato portandosi dietro soltanto quell’ alone violaceo appiccicatosi alle sue pelose zampine. Click! Un piccolo arcobaleno fra i fili d’erba e un vago profumo fruttato che mi assale, mi volto e …Click! Un’Iride Susinaria. No, non posso pungermi, con il profumato e purpureo Cardo del Carso. Click! Mi serve ancora un po’ di bianco per schiarire delle tonalità forse troppo intense, allora mi lascio trasportare da un penetrante olezzo e trovo quello che cercavo e immaginavo: il Narciso. Click! Un po’ a sinistra un po’ a destra, salgo ancora verso il culmine ma defilandomi dalle tracce consuete… ah, eccola lì, a sorpresa, la pennellata che mi mancava, il tocco di classe per completare l’insolito quadro: l’arancione vivo del Giglio Carniolico ( Lilium Carniolicum )! Racchiuso nella sua eleganza, civettuolo per la bella mostra che fa di sé, ben tre fiori sullo stesso fusto. E’ protetto ma io ne rubo uno … scatto, naturalmente, l’ultimo per adesso. Click! C’è chi, su una delle panche davanti al Rifugio, si è stancato di aspettarmi e nel riprendermi, con voce e con mano, per l'evidente ritardo, mi esorta a raggiungerlo. Il mio sorriso, a giustificare il procrastinarsi del ricongiungimento, sarà sufficiente a togliere il broncio dal volto della mia compagna? Il tè ormai raffreddatosi sarà lo stesso sufficiente a placare l’arsura accumulata durante la seppur lieve salita? L’unica cosa certa è che le immagini colorate e macroscopiche raccolte dalla mia Reflex avranno dato un senso al mio desiderio di felicità. Prima di porgerle questo, forse incomprensibile per lei, mazzo di fiori, mi gusto la dolce bevanda che sono certo basterà a eliminare la secchezza dalla mia bocca e poi, con parole melate, cercherò di far sbocciare il fiore più bello per soddisfare la mia avidità di emozioni e completare così il coloratissimo quadro.
Mah… sì…, ecco il suo sorriso ed ecco l’ultimo…Click!

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“ Segni inconfondibili di una fantasia infantile che a volte riappare e come allora fa trasalire il mio animo gentile, così nuovamente mi perdo in quel girotondo. 
Nuvole come desideri, nuvole come illusioni, nuvole come gioie ma anche dispiaceri, nuvole come sogni. Sogni che si nascondono, sogni che si dissolvono, sogni che diventano grandi, sogni che se ne vanno.
Sono solo sogni, sono solo nuvole, sono solo, solo con me stesso e il mio animo gentile. “

1029 metri, la stessa cima, lo stesso Rifugio ma entrambi, oggi è mercoledì, sono chiusi; appena mi riprenderò dallo sforzo sarà piuttosto la mia anima ad aprirsi. Piegato su me stesso mi sorreggo al plinto di cemento, consulterò dopo la bronzea Rosa dei Venti, incastonata su di esso, che mi racconterà la distanza fra il presente e i mille aneliti di un appassionato di montagna. Le immancabili lievi folate di un vento estivo che sale da ovest, dalla salsedine, accarezzano ogni goccia della mia primordiale fatica accumulata nei trenta e poco più minuti che mi ci sono voluti per arrivare fin quassù. Alle 16.30 la routine si è spenta con puntualità all’uscita dalla fabbrica quotidiana risucchiata dai 30° e oltre della pianura; il tempo per volare, pensando a quello che vorrei fare nella prossime due ore, prendere la rincorsa ed eccomi qui grondante sudore in attesa che il respiro attenui la sua rincorsa ai battiti del mio cuore in attesa. Sarà per staccare la classica spina, sarà per semplice allenamento o per puro spirito sportivo, sarà che questa piccola montagna così vicina alla realtà di ogni giorno sembra invitarti a raggiungerla già ogni mattina quando me la ritrovo di fronte appena alzato… lo sguardo; sarà per qualche altro recondito motivo ma adesso che mi sono ripreso godo appieno della bellezza di tutto ciò che la circonda. 360° di pura selvatica bellezza, natura che nella stagione giusta, all’ora giusta, con la luce giusta ti può regalare scorci a volte troppo lontani che vanno ben oltre la linea dell’orizzonte e dell’immaginazione. Se a Nord le amate Giulie contraccambiano il mio anelante saluto, a Sud le terre d’Istria rimandano echi di ancor troppo recenti nostalgie; se a Est, al di là delle grandi pianure e delle giogaie verdeggianti, vengono alla luce le speranze di ogni giorno, è ad Ovest, sul mio mare, che ogni sera accompagno e depongo le ultime illusioni. Oggi sono salito più rapidamente del solito, avevo fretta di sentire sulla pelle quest’ aria così diversa ma che mi è senz’altro più consona, niente a che vedere con quella della città là sotto o con l’aria balneare intrisa di fastidiosi finti odori. Oggi sono salito più rapidamente del solito inseguendo una corrente ascensionale o facendone parte io stesso tanto che una volta arrivato in cima avevo la sensazione di essere anch’io una minuscola gocciolina d’acqua che galleggia nell’aria e, assieme a miliardi di mie simili, di trasformarmi in nube. Appena uscito dal bosco, dove il prato incontra il cielo, il mio sguardo saliva ancora fino ad incontrare il bianco sfuggente di ogni nuvola che in varie forme si trasformava di continuo e mi faceva compagnia; che cosa bizzarra: ora un coniglio dalle orecchie enormi, poi una contorta proboscide che annunciava uno stanco elefante, subito dopo anche un’automobile d’epoca, alquanto buffa e… sbuffante, e poi uno stravolto… volto umano con cui condividere il mio impercettibile sorriso. Quando vengo su di corsa mi fermo poco in cima ma in quel breve tempo cerco di concentrare tutta la magnificenza di quest’ intorno. Adesso bisogna proprio andare, tuttavia oggi ritardo ancora un' attimo la discesa per cercare fra i cumuli che si rincorrono nel mio sguardo una poesia qualsiasi della mia infanzia contadina quando, disteso in un campo, nascosto dall'erba medica e dal trifoglio, sognavo le mie nuvole preferite, quelle che riappaiono talvolta nei miei attimi fuggevoli di bambino ormai grande. Bevo ancora un sorso d'acqua dalla borraccia, mi astergo l'ultima goccia di sudore, un saluto alla pace di questo luogo e incomincio a saltellare fra i sassi del sentiero, devo per forza ritornare al paese sottostante, mi ci vorranno una ventina di minuti adesso, più sotto fra le curve di una ripida carraia la corsa sarà più regolare. Quando corro da solo penso sempre ma non lo faccio soltanto per controllare il gesto atletico, ma è un vero e proprio pensare a quello che sto facendo, ai luoghi in cui mi trovo, ai motivi della mia corsa. Poi parlo … con me stesso, talvolta rivolgo la parola ai rumori del bosco che assecondano il mio andar veloce mentre la strada scorre tanta sotto i piedi. Altri pensieri mi scorrono in rapida successione per la testa, sono la risposta a ciò che vedo.

… “ Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri...”

Ma forse l'uomo non le rincorre per tutta la vita dando loro le fisionomie più assurde, trasformandole e modellandole a suo piacimento, a seconda poi dei suoi momenti di
egocentrismo?

…” Vanno
vengono
ogni tanto si fermano...”

Proprio come l'uomo, sempre più spesso creatore di puerili circostanze per sprecare il tempo del suo quotidiano andare e venire, il più delle volte senza senso.

...” Vanno
vengono?
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle...”

Ahimè! Quante volte anche alla nostra vita viene a mancare il calore del sole e la guida delle stelle in cielo? Le nostre giornate ci sembrano talmente grigie e le notti così profondamente buie da sentirci svuotati di qualsiasi entusiasmo. Forse è soltanto una sensazione passeggera che in quel momento nega alla natura dell'uomo la possibilità di esprimersi come egli vorrebbe. Per un attimo rallento e mi volto ma la cima, il Rifugio, il mio sudore lasciato su qualche pietra a evaporare sono già spariti dalla mia vista; da questo versante non si entra più nell'ombra del bosco, anzi, il rettilineo, che si chiude alla vista delle prime case del paese,
mi regalerà, quale sfondo in lontananza, l’immagine calda del mare soffocato da vapori estivi e oltre ad esso, forse, altre montagne da ammirare, staranno già arrossando per il tramonto ormai prossimo. Anch'io sono ormai prossimo al ricongiungimento con la realtà che mi riporterà verso casa. Sarà tempo di deporre tutto questo pensare.

...” Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti ...”

Dall'altro lato del mare, quello di sud-est, nuvole ben più grosse e nere stanno salendo,si stanno avvicinando, nembi minacciosi forieri di pioggia estiva. Un rimbombo ancor
lontano. Certo che De André la sapeva lunga sulle nuvole...

...” Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia. “

Un altro tuono, questo più vicino. Quella che in cima era poco più che una brezza adesso si è trasformata in vento forte e alquanto fastidioso che solleva la polvere e i primi rumori del paese. Ormai ci siamo, eh sì, comincia a piovere. Ormai ci siamo però, già dentro all'automobile, per un ritorno che bagna, che lava via ogni incertezza, che pulisce il sasso, che monda ogni cosa. Mi ripeto che probabilmente De André la sapeva lunga sulle nuvole, ma forse ancor di più sulla vita.

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“Ancora l’arcano che non si svela e le domande, che fin da bambino porto in me, cercano
risposta nelle secolari presenze. Vento che smuove, gelo che ferma, fiore che rallegra, frutto che dà vita, foglia che muore, fronde piegate, rami spezzati, tronchi contorti, radici serpeggianti; un grande abito che muta al transito delle stagioni.
Non e’ forse questa la risposta.”

Anche l’autunno oramai asseconda il nostro passo peregrino da queste parti, un sabato mattina ci darà l’opportunità di salire ancora una volta su questa cima ormai glabra per via del vento e del sole bollente dei mesi trascorsi e delle piogge impazzite e dei mille e mille e mille sconclusionati ma felici passi di gente qualsiasi e qualunque. Entreremo tranquillamente anche nell’ormai stanco Rifugio, oppresso per giorni e giorni da ciarlanti andirivieni e ora abbandonato alla sparuta presenza di qualche anima raminga perdutasi nella ricerca dei più bei colori di questa stagione. Lasciamo l’automobile, senza intralcio alcuno, fra le viuzze di un altro paese. Se ne starà, per alcune ore, appena addossata a quel muro di pietre carsiche che racchiude un orticello, subito dopo la chiesa e prima che la stradicciola abbandoni le ultime case per allontanarsi definitivamente, fra l'ultima curva, un breve rettilineo e un dosso dietro l’altro, verso l’altopiano e la sua selvaggia vastità. Ancora un piccolo pezzo di asfalto che è già salita, e poi dobbiamo superare i binari; se ne vanno da sopra il paese e una volta soltanto un rallentato convoglio ci ha sorpresi nell’atto di attraversarli, un momento d’impaziente attesa e il silenzio torna quello di prima: raccolto, in lontananza il ritmico sbuffare del vecchio locomotore che si allontana portandosi dietro chissà che trasporto in quella interminabile teoria di vagoni ogni giorno più stanchi. Al di là della massicciata è già sentiero, sasso, radice, terra fradicia, si scivola eccome… Oggi non c’è proprio niente di asciutto, su ogni cosa è rimasta la patina umida di una notte di novembre e dei suoi contorni che cela di già alla nostra vista i tetti sottostanti. La nebbia che inghiotte il paese ci toglie ogni dimensione relegandoci al solo spazio dei nostri passi e del nostro sguardo limitato. Entrando nella seppur nota boscaglia, quest’ oggi, il nostro vedere acquisisce un’immagine diversa, surreale. Sentiamo su di noi l’oppressione di centinaia di occhi, né animaletti né spiritelli silvani ma soltanto lo sguardo mostro della nostra fantasia. Ogni pianta, ogni albero è un immagine terrifica del nostro passato di bimbi, quand’anche la sera, per andare a letto si spalancavano tutte le luci di casa; era enorme, allora, la paura d’incontrare quei fabulosi cattivi personaggi della nostra fanciullezza che ci avrebbero senz’altro rapito prima che raggiungessimo il riparo sotto lenzuola e coperte. Siamo soli, la mia donna ed io, a condividere questo sogno ad occhi spalancati, disincantati, trasognati. Ci sbeffeggiamo l’un l’altro per le paure sopite che a causa di quello che abbiamo intorno sembrano riemergere e darci pena: certo siamo ridicoli, ma diventa un gioco, soltanto un gioco, che ci riporta sorridendo alle ingenuità di una volta. E sempre per gioco trasformo questa boscaglia, solitamente amica, nella “ selva oscura“ di scolastica memoria riappropriandomi di alcune reminiscenze: “ Nel mezzo del cammin di nostra vita…” , con l’età ci siamo quasi, entrambi e “ … che la diritta via era smarrita … “ poco ci manca; se non fosse che conosciamo perfettamente l’itinerario, allo stato d’animo potrebbero aggiungersi le difficoltà di questa giornata e portarci addirittura fuori strada. Un po’ più in alto il sentiero peggiora diventando fangoso e ancor più scivoloso, particolarmente accidentato, anche con pietre appuntite che affiorano e piccoli salti di roccia quasi continui; bisogna porre più attenzione a dove si mettono i piedi, specialmente se siamo così distratti da questo… smarrimento. “Ah quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte… “ Eh sì, non solo le ineffabili bellezze della natura sono difficilmente narrabili ma anche queste stranezze di stagione ho difficoltà ad esprimerle. Non riconosco più né carpini, né aceri, solitamente amici che si inchinavano con deferenza al nostro passaggio estivo aiutati, in quello che a noi sembrava un ossequioso saluto o un semplice gesto di benvenuto, da un alito di vento. È così anche per la rovere, o è una farnia, ogni volta mi confondo, tanto sono simili, ancor più adesso che è spoglia della sua bella fresca ombrosa chioma estiva. Ah, i frassini, almeno quelli li riconosco, soltanto per via delle particolari incisioni sulla corteccia; ho saputo che da queste parti, nella stagione estiva, è ancora in uso la raccolta della manna, per questo le piante più giovani, poverine, sono tutte tagliuzzate. C’è un gruppo di roverelle che…, ci mancava anche questa, sul terreno tracce evidenti di passaggio animale, dalle impronte ma soprattutto dagli “scavi” si direbbero cinghiali alla ricerca di cibo, è probabile che non accontentandosi delle numerosissime ghiande sparse un po’ dappertutto si siano dati da fare per trovare qualche più appetitosa radice. Non sono pericolosi, ma è sempre meglio evitare incontri ravvicinati di quel tipo tanto più in questo contesto “infernale”; penso che vederselo sbucare all'improvviso, con quel caratteristico grugnito, anche soltanto uno, o peggio una, a guardia dei suoi cuccioli, dalle spire della nebbia, peraltro infittitasi nel frattempo, ci procurerebbe sicuramente un grosso spavento. “…che nel pensier rinnova la paura!..” . O Sommo Poeta mai Ella ebbe parole sì vivide da elargirci nel mentre e a tal monito. Pur le seguenti “Tant’è amara che poco è più morte “ ben si attagliano all’immagine del povero cerro, laggiù in fondo a quella dolina, colpito a morte dagli elementi in qualche oscura battaglia estiva sicuramente trafitto da un implacabile fendente che anche la Natura più buona non ha voluto o potuto risparmiargli. Esso se ne giace reclinato, col cuore spezzato, fin sul bordo, tanto era alto, di quella che sarà la sua fossa naturale. Forse il nostro non è più soltanto un gioco perché ormai siamo così presi dall’allegoria dantesca che ci sentiamo quasi preda di questa natura così diversa e alla quale non eravamo, almeno quest’oggi, preparati, altro che ricerca dei più bei colori di questa stagione, dov’è il rosso, giallo, arancione, giallo, rosso del carsico scotano che infiamma qualsiasi cuore? Vorrei poter concludere con … “ … ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. “ , ma resta ben poco di cose belle, viste e da raccontare anche se nel frattempo, siamo saliti di un bel pezzo e il bosco si sta diradando, è la nebbia quella che non se ne vuole andare e che temo non se ne andrà. Magra consolazione la carezza di un sorbo isolato a ricordarmi di portare a casa un suo ricordo che forse sarà l’unico bello di questa sterile giornata; i suoi frutti, o pseudo tali, sono mangerecci e non solo, possono arricchire il gusto di una altrimenti semplice grappa eh, eh, eh … Ancora qualche albero contorto e finalmente usciremo dalla “selva oscura”, saremo sui soliti prati sommitali, da lì in poi non mancherà molto alla cima che oggi, ahimè, nient’altro avrà da regalarci che l’immenso nulla. Però non ci saranno più mostri da scacciare, nessun occhio ci guarderà più malignamente, la Divina Commedia tornerà ad essere soltanto un ricordo, poi alla fine della giornata, anche questa,sgambata piuttosto che camminata o escursione, diventerà un semplice ricordo. E probabilmente soltanto verso la fine dell’inverno, quando la mia lei e io assaggeremo e gusteremo la grappa di sorbe rideremo assieme dello … “ scampato pericolo “.

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“ Neve che non fa male, non tradisce e non illude, neve ch’è gioia. Rasserena, zittisce, stranisce, immortala. Gioco che si fa grande e immutato asseconda le mie sensazioni. O fiocco o manto o cristallo è soltanto una carezza che si posa dolce dolce sul mio esistere. “

Puntuale come sempre, sul far dell’inverno ecco comparire la prima neve. Pur trovandoci al livello del mare non manca mai la serata giusta, quella con la pioggia battente accompagnata da gelidi refoli qua in basso e da tormentosa neve a poco più di 1000 metri lassù in alto. Quasi non te ne accorgi ma ormai sai che la temperatura intorno allo zero è quella ideale per la prima inzuccherata dei colli che sovrastano e contornano il Carso, quella che domattina, a meno di un chilometro da casa, mi apparirà irraggiata dal primo sole e mi farà sospirare di desiderio ma anche sbuffare di rabbia perché sto andando a lavorare. Tuttavia quella prima velatura durerà poco; infatti al primo soffio di calore se ne andrà per ritornare quasi sicuramente più avanti e, approfittando di una temperatura più bassa, si fisserà al punto da trattenersi anche per quattro o cinque giorni, ma non di più. Certi inverni è già dicembre, nei suoi primi giorni di gelo, a regalarci quel fugace biancore in lontananza. È più probabile invece che siano i primi giorni di gennaio, a meno che la bora non abbia già fatto pulizia, a concederci per più tempo la vista della cima bella bianca. Se anche per le sue pendici, o ancora più in basso, fino all’imboccatura della Val Rosandra, il colore è il medesimo vuol dire che n’è venuta giù tanta e che si possono tirar fuori le časpe e non indugiare oltre, bisogna andare, la cima è lì che mi aspetta con tutta la sua semplice ma accattivante bellezza. E’ una sfida alla mia passione di montagna e al nostro piacere di salirla. In effetti e stato così in più di un’ occasione ma, purtroppo, capitava sempre al sabato o di domenica, quando il Rifugio sulla cima è sempre aperto e in esso sembrano darsi appuntamento tutti i sorrisi, i cenni di saluto e le strette di mano della stessa gente primaverile. Beh, anche noi qualche volta facciamo parte di quella congerie, allora non ho di che lamentarmi se adesso bisogna scostarsi di continuo dalla traccia per lasciar passare quel qualcuno che frettolosamente, o peggio furiosamente, già discende, mentre noi, invece, saliamo pian pianino e ci coccoliamo i mirabili scorci che questa natura, che sappiamo così vicina, ci regala di stagione in stagione. L’inverno, in maniera ancor più particolare riesce a trasformare i suoi elementi sì da creare paesaggi decisamente suggestivi; è la neve che inizialmente crea, e subito dopo è il gelo che modella tutte le piccole e grandi cose della natura. Di volta in volta abbiamo trovato o neve fresca, farinosa e svolazzante oppure dei veri e propri swarovski scintillanti sotto i già tepidi ma luminescenti raggi del sole di febbraio. Quasi sempre, all’uscita dal bosco, è il vento di nord-est, implacabile con le sue gelide raffiche, a sollevare copiosamente la neve sì da sembrare una vera e propria tormenta, ti nega addirittura la vista dell’ormai prossima cima e sembra, a tutti i costi, volerti ricacciare indietro. Ma noi temerari, puntando ben bene gli attrezzi, i piccoli ramponi sotto le časpe e i bastoncini con le punte in acciaio, sul crepitante fondo gelato, sospinti da un anelito di conquista, manco fossimo prossimi a piantare la piccozza con la bandierina sulla cima di chissà quale ottomila, o forse semplicemente, anzi probabilmente, attratti dal richiamo del sempre accogliente Rifugio, ancor più appetibile in questa stagione con il tepore regalato da una stufa a legna a pieno regime,non ci tiriamo indietro e, piegati sulle ginocchia, percorriamo le poche centinaia di metri che ci separano dalla meta incuneandoci letteralmente nelle sferzanti nuvole di neve che, appena superatici, vanno a morire chissà dove. A volte, volendo evitare la ressa dei frequentatori nivali, serve a poco o nulla anche la scelta di salite alternative, benché ce ne siano diverse e da ogni versante del monte, ma cercare di essere soli con la silente bellezza del paesaggio invernale in queste due giornate del fine settimana è davvero difficile se non improbabile; l’umano incontro, più o meno chiassoso, è a dir poco scontato. Per esser sinceri, ogni tanto è anche divertente e curioso soffermarsi a guardare il coloratissimo incedere degli escursionisti invernali che macchia il candido lenzuolo ormai disteso a coprire, seppur temporaneamente, i prati esausti. Sicuramente sono il rosso e il blu i colori predominanti nelle fogge degli indumenti invernali, fanno a gara coi gialli o gli arancione a superarsi lungo i pendii che portano alla meta. Guardati da un certo punto di vista e magari con sufficiente occhio artistico, tanti e ravvicinati sono i puntini colorati da sembrare delle fugaci linee tracciate con inchiostro simpatico su quell’ effimero foglio da disegno. Ma non è certo questo il tipo di paesaggio che il mio spirito va cercando, d’altronde le circostanze non offrono di certo alternative quantomeno poetiche se non addirittura idilliache. Però, in tutto questo turbinare di neve e sensazioni contrastanti, ricordo con piacere una salita che ha avuto tutte le caratteristiche di una gita indimenticabile, una di quelle conquiste così liberatorie da conservarne indelebile nel proprio cuore tutta l’essenza. Ovviamente non era né sabato né domenica, ma un sonnolento lunedì di lavoro a fine febbraio, con la differenza che mi ero concesso una coda al fine settimana per sbrigare in mattinata alcune faccende. Già dirigendomi verso la città piuttosto che al lavoro, lassù la cima ben ben imbiancata da alcuni giorni mi aveva fatto l’occhiolino e io ci avevo fatto più di un … pensierino. Il weekend mi aveva visto impegnato su altre cose ma oggi fin dalla tarda mattinata sarei stato libero e con me tutta la mia famiglia. La giornata era soleggiata e si respirava un’aria per niente invernale, davvero gradevole. Da casa ci vogliono poco meno di trenta minuti d’automobile per raggiungere il paesino di Podgorje ( Piedimonte ) adagiato alle pendici sud del monte e lì, una volta parcheggiata l’autovettura ci si incammina lungo uno degli itinerari di salita. Apposta evito la cosiddetta via normale, la diretta, che nei due giorni precedenti avrà visto chissà che marea di gente salire e scendere in continuazione tanto da formare un solco netto sulla neve, caso mai l’avremmo percorsa in discesa per consentirci un rientro più rapido. Scegliendo il percorso più ad ovest ho optato per un’ itinerario che conosco soltanto sulla carta ma so che si tratta di una mulattiera ben visibile e che sale nel bosco in maniera più regolare. Per la gioia dei nostri bambini la neve è ancora copiosa e quel che conta, intonsa, per di qua non è passato ancora nessuno e noi saremo i primi a lasciare le nostre artistiche tracce su questo candore. Il sole in cielo è già a un buon punto, ci riscalderà, ne sono certo. Dalle ultime case del paese sale ancora alto e inebriante il profumo del pane fatto in casa, presto qualcuno si siederà a tavola per desinare ma non saranno di certo gli uomini destinati a lavorare ancora per qualche ora, forse nemmeno le loro mogli, anch’esse al lavoro giù in città, è più probabile che si tratti di persone anziane, qualche nonna magari con il nipotino ultimo arrivato e forse anche il vecchio capofamiglia, saranno loro a celebrare il pasto di giornata ringraziando il Buon Dio. Da parte nostra, soltanto un paio di panini a testa, saranno per oggi l’unico sostentamento, peraltro sufficiente per farci concludere la nostra camminata. Questa giornata ci vedrà, noialtri genitori, al passo dei giochi dei figli per la cui fantasia non mancheranno spunti lungo il cammino. Davanti alla fila faccio strada io sprofondando fino al ginocchio nella neve morbida (all’epoca non eravamo ancora attrezzati per l’escursionismo invernale), spero che i pesanti ma indistruttibili Meindl di cuoio che uso da anni resistano a questo ammollo continuo. La piccola truppa che segue non ha difficoltà invece a calcare le mie impronte e galleggiare così al di sopra dello sprofondamento. Le piccole e leggere forme che si creano all’interno delle mie tracce fanno pensare a qualcosa di impercettibile e sfuggevole come traccia di animaletto silvano o svolazzo di neve farinosa che non si lascia compattare, questa di oggi per la quale i bambini sono delusi, non ci saranno palle di neve da fare e quindi nemmeno battaglie. Allora la nostra attenzione è rivolta piuttosto alle forme degli alberi i cui rami cristallizzati ci regalano figure mostruose a cui la nostra fantasia assegna un posto d’onore ora in una fiaba ora in un’altra. E intanto si sale. Nessun altra stagione ci aveva ancora visto percorrere questo itinerario; in primavera di solito veniamo su da Skadanščina ( Scandaussina ), per via della fioritura, il caldo dell’estate è trattenuto dal bosco salendo quasi sempre per la via più breve da Podgorje e d’autunno invece, per i suoi colori è consigliata la salita dal paese di Prešnica ( Presnizza ). Il piacere di salire adesso lungo questo nuovo itinerario accresce la nostra reciproca soddisfazione. L’intrico della scheletrica boscaglia ogni tanto s’interrompe, lo squarcio che vi si crea ci dà la possibilità di apprezzare lo spettacolo verso sud-ovest, incredibile, proprio sul lembo di mare blu che in lontananza respira tranquillo e attende gli ultimi raggi del sole di questa giornata per colorarsi di vermiglio prima di votarsi definitivamente alle tenebre, ma ci vorranno ancora un paio di ore. Per noi questa gioco-salita continua come pure le immancabili soste, i bambini cominciano a provare un po’ di stanchezza, specialmente Ilaria che non è proprio un’amante delle scorrazzate in natura e tanto meno di quelle alpine, al contrario di Leonardo, il fratello di quattro anni più vecchio, che starebbe tutto il giorno aggrappato ai sassi o a rotolare sull’erba, appollaiato sulle cime degli alberi con lo sguardo nel cielo o nascosto in qualche buco sottoterra, mah valli a capire questi figli! Attenzione! Ci sono delle altre tracce sulla neve! La curiosità bambina è pari alla nostra di adulti, la circostanza la legittima perché, prima delle mie, sono apparse, a tagliare il nostro sentiero, delle impronte animali sì da suscitare incuriosite domande da parte dei figli, sicuramente i più affascinati dal cercare di capire a chi appartengano. Per fortuna le riconosco e posso fare bella figura dando una risposta corretta alla loro richiesta. L’animale che, con le sue impronte, ci ha attraversato la strada era una lepre, infatti la traccia che ha lasciato, a forma di “Y”, è inconfondibile. E poi qui ho dovuto soffermarmi e spiegare loro che la lepre procede a balzi e che le zampe anteriori si appoggiano una dietro l’altra, invece quelle posteriori si appoggiano parallelamente e sempre davanti alle anteriori e così via. A questo punto era evidente che per rendere meglio l’idea avrei dovuto imitare la lepre nei suoi balzi sulla neve. Beh, vi lascio immaginare le risate che ci siamo fatti tutti quanti, io compreso, nonostante la neve che, una volta buttatomi a quattro zampe in un mucchio più spesso, mi ha letteralmente ricoperto, hai voglia dopo a scrollarmela del tutto di dosso! Si sente in lontananza il rintocco di una campana; dal campanile della chiesa giù a Podgorje ci giunge questo segnale inequivocabile e il mio orologio mi conferma che sta battendo le dodici, è ormai mezzo giorno, ma il nostro desco non è ancora stato apparecchiato; vorremmo… pranzare in cima. Piano piano, di curva in curva, di ratto in ratto, di “mostro” in “mostro” il bosco si dirada e ci ritroviamo in una zona di landa carsica dove i caratteristici cespugli di ginepro o di scotano adesso sono così trasformati da sembrare immensi bue muschiati ma di un colore purissimo come il bianco di questa neve vergine. Ancora un poco più avanti, tanto da arrivare abbastanza in alto fino al punto d’incrocio con la strada che sale da Hrpelije (Erpellie) e che nelle altre stagioni permette al gestore del Rifugio di raggiungerlo con il fuoristrada. Altri automezzi non vi possono transitare, ci troviamo in un Parco Naturalistico, quindi zona protetta. Nonostante ciò qualche automezzo pirata ha lasciato, probabilmente ieri e ieri l’altro, le sue pesanti e profonde tracce che ben si scostano da quelle leggiadre incontrate poc’ anzi. Da qui in avanti l’itinerario mi viene noto e possiamo proseguire dalla parte opposta, non certo per la strada, per rientrare nel bosco; ci vorrà ancora un’ora per raggiungere il Rifugio e la cima del nostro monte. La pazienza necessaria deve essere tanta e bisogna avere molta immaginazione per trovare la favola giusta da raccontare a Ilaria per renderle meno opprimente il prosieguo. Leonardo al contrario, vuoi perché più grandicello vuoi perché fresco di una lettura importante come il Sergente nella Neve, sembra proprio marciare imperterrito come un soldatino. Adesso la neve è meno farinosa, anzi comincia a essere più compatta e gelata anche perché risulta dilavata da diversi passaggi escursionistici. Il sentiero su questo tratto è già stato malmenato ma tutt’ intorno la soavità di questo silenzio steso a coprire la natura è intatta e noi non abbiamo il coraggio che di sfiorarla con lo sguardo. Sguardo che mi si illumina guardandomi attorno, sollevandolo al cielo dove l’azzurro comincia ad appassire e il sole a reclinare, sguardo che mi s’illumina guardando la felicità dei miei figli e la complicità della loro madre. Vi siete accorti che non ho fatto menzione di incontri per così dire… umani? Era questa la bellezza che andavo cercando, nelle mie, nostre scorribande precedenti su questa neve e che non avevo, non avevamo mai potuto ritrovare. Oggi sì, l’avevo immaginato sin dal primo mattino che, oggi sì, sarebbe stato possibile regalarci una simile melodia d’inverno. Ed ecco che si esce dal gelo del bosco per incontrare il calore e il candore della neve sommitale. Stranamente non è ancora sopraggiunta la bora e così i bianchi prati sono completamente lisci, c’è tutt’ intorno una pace intensa che involontariamente, con il nostro entusiasmo, noi spezziamo. Chiedo a tutti noi un attimo di silenzio per gustare, ad occhi chiusi, la pace che ci circonda. Ma l’euforia è doppia perché adesso si vede anche la meta, il Rifugio, la cima. Continuiamo sulla traccia che troviamo, anche perché oramai siamo all’ora del nostro pranzo e vogliamo arrivare lassù prima possibile per fermarci, riposare, rifocillarci, sorridere assieme. Ed eccoci finalmente al cospetto di tutto quanto fa meraviglia. I bambini si sono già seduti, dopo averla spazzolata ben bene dalla neve, su una delle panche che stanno davanti al Rifugio in faccia al sole e danno fondo ai loro panini, dimentichi di tutto quanto “ accarezzato “ lungo la salita. Mia moglie ed io ci attardiamo per goderci la cima e tutto quello che a 360° ben conosciamo ma che oggi vediamo in maniera diversa perché la bellezza di oggi non è poi così tanto distante come l’orizzonte sul mare al quale il sole comincia ad avvicinarsi, la bellezza di oggi è a noi molto più vicina, è nei nostri sguardi compiaciuti, è nella voracità dei nostri figli che si stanno riprendendo dalla dolce fatica, è nell’aver saputo rubare questa giornata alla quotidianità, è nell’abbraccio che ci concediamo per suggellare questo momento, la bellezza di oggi è soltanto dentro di noi. Qualcuno ha avuto il tempo di regalarci anche un pupazzo di neve, un simbolo di fanciullezza dal quale Ilaria e Leonardo non si discostano. Un piccolo ritocco ai suoi sensi piuttosto approssimati, per renderlo più fotogenico nel nostro ricordo di gruppo e di famiglia. Il sole insiste nell’illuminarci, ma ormai di traverso si appresta al saluto, proprio laggiù, da quella parte dove dobbiamo scendere e ritornare. Adesso la discesa sarà più lieve anche perché la distanza che ci separa dalla nostra automobile è minore. Faremo attenzione perché non troveremo la neve dell’andata ma il ghiaccio del ritorno. La gente di ieri e ieri l’altro, quella dei sorrisi e delle strette di mano primaverili ha levigato tutto, non solo la traccia sulla neve, probabilmente anche i sentimenti di coloro che man mano incontravano nel loro andirivieni. Cosa che a noi, questa volta, non è capitata, la fulgidezza dei nostri sentimenti è rimasta tale da provare ancora tanto amore per questi luoghi, per questa ripetuta meta, per questo piccolo grande monte e la sua cima con il suo Rifugio, ma soprattutto per lo splendore di tutta la sua natura e la bellezza di questa nostra vita.

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Se 1029 m slm sono sufficienti per definire monte un cocuzzolo prativo quindi solitamente
verdeggiante circondato su tutti i suoi versanti da fitta boscaglia e la cui cima si può raggiungere, a seconda dell’itinerario prescelto, impiegando mediamente dai 45’ alle 2 ore, allora il Taiano è un monte. Si trova in Slovenia, a pochi chilometri dall’ex-linea di confine con l’Italia e domina la città di Trieste volgendosi a ovest e quella di Capodistria (Koper) un po’ più verso sud. E dagli abitanti di queste due città transfrontaliere viene ammirato giornalmente, si lascia quasi sempre mostrare ma quando gli sono indifferenti invita a guardarlo con l’irruente richiamo della bora che scivola dalle sue pendici fin’oltre al Mare Adriatico nel quale si specchia. In ogni stagione è meta di escursioni che diventano veri e propri pellegrinaggi in primavera e in inverno, le stagioni più suggestive, nei giorni festivi e prefestivi. La cima ma soprattutto il Rifugio sono particolarmente frequentati anche dagli escursionisti triestini, non solo quelli a piedi ma anche quelli in mountain bike. Forma con delle cime minori una catena che va a scemare verso la vicina Croazia e a formare poi con altre due catene montuose una vera e propria cinta che contorna all’interno la Penisola Istriana. Proprio perché vicino, piacevole, rilassante,facile da raggiungere con qualsiasi mezzo da escursione, accogliente in ogni stagione, scorci, panorami, particolarità naturalistiche di rara suggestione che vengono offerte all’occhio attento di chi sa guardare oltre, un monte che regala emozioni, il Taiano che in sloveno fa Slavnik, ha suscitato in me, fin dall’infanzia un richiamo molto forte riempiendo in seguito di aneddoti e particolari ricordi le decine e decine di salite effettuate in quasi trent’anni di frequentazione montana. Vado dicendo da molto tempo, a me stesso e agli altri, che talvolta non c’è bisogno di un viaggio extraeuropeo per regalarci la bellezza di una montagna, basta saper guardare in quella che si ha più vicino. Beh, seppur “piccolo” è, questo monte, avrete certo capito quanto faccia parte in maniera preponderante delle mie stagioni sì da definirle Le Stagioni del Cuore.

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