QUATTRO
GIORNI A PRIMAVERA
Con
mia grande meraviglia,viste le premesse createsi nei giorni scorsi
con le abbondanti nevicate e le successive gelate, trovo la strada
pulita da ogni e qualsiasi residua traccia di ghiaccio. Nonostante
l’ora mattutina e soprattutto la temperatura rigida che avrebbe
potuto contribuire alla sua formazione, sulla carreggiata non c’è
alcun segno che lasci pensare ad una gelata notturna, vuol dire che,
da queste parti, gli addetti alla pulizia delle strade, con i camion
spargi sale, fanno il loro dovere, una volta chiamati al bisogno
ovvero in servizio, disseminando lungo la solitamente trafficata
arteria una gran quantità del prezioso, vista la stagione, minerale.
Le informazioni che avevo ricevuto da amici prima di partire davano
questa carrozzabile come piuttosto scorrevole nonostante la presenza
di numerose curve che si susseguono fino al Passo di Črni
Vrh.
Ma proprio quelle curve e l’erta salita, invece, stanno rendendo
alla piccola utilitaria oltremodo impegnativo l’approccio
nonostante l’abitudine estiva a scarrozzare per strade di montagna.
Lo stesso si può dire per il sottoscritto impegnato al volante in
una guida obbligatoriamente accorta.
Sono
solo, avevo voglia di rimanere solo oggi e mi sono concesso questa
innocente “ fuga “ a un’ora di strada da casa. Lasciata Trieste
per l’Altopiano sono entrato in Jugoslavia attraverso il valico di
Lipica
e da qui per la statale che porta a Ljubljana,
capoluogo della Slovenija,
fino alle pendici del Nanoš,
poi ho imboccato la Vipavska
Dolina
fino ad Ajdovščina
e da qui ho cominciato a salire alla volta di Col
e adesso sono impegnato per raggiungere il Passo, beh forse…anzi ne
sono certo,impiegherò ben più dell’ora prevista. Ma ormai sto
quasi per raggiungere quella che a tavolino avevo previsto essere la
base di partenza dell’escursione con le časpe.
Temo di poter avere qualche difficoltà nel reperire un posto per
lasciare l’automobile. Colpo di fortuna! Grazie alle ridotte
dimensioni della mia auto riesco letteralmente ad incastrarla nel
primo e forse unico spazio utile fra la carrozzabile e un vero e
proprio muro di neve. Così alto che si intravede a malapena la
sommità dei paletti giallo-rossi appositamente disposti per rendere
evidente l’insinuarsi della strada in caso di troppa neve, appunto
come adesso.
L’automobile
resterà lì parcheggiata per tutto il giorno, fino a quando
rientrerò, presumibilmente alle prime luci della sera che qui
arriveranno presto e prima che altrove. Sono ancora molto vicino alla
nevrotica realtà quotidiana ma già qui, per me, almeno oggi, so che
sarà alquanto distante. Mi accingo a partire completando gli ultimi
preparativi legati alla vestizione. Sono quasi incredulo ma conscio
del fatto che sotto i miei piedi, più di un metro di neve cela una
carrareccia che d’estate si diparte per snodarsi e inerpicarsi alla
volta di poche case sparse qua e là, di distese prative che immagino
punteggiate da mille colori di mille fiori, di un rifugio alpino che
si trasforma a ogni stagione e che oggi sarà il punto di riferimento
del mio “ viaggio “ perché so essere dominato dalla cima che
ambisco raggiungere, di boschi incantati e più oltre…di chissà
cosa? Per me è l’ignoto. E’ la prima volta che indosso le časpe,
il primo giro di fettuccia non mi sembra proprio del tutto corretto
infatti dopo un solo passo ne lascio già una indietro. Non vi dico
degli altri ma infine al quinto tentativo trovo la soluzione e sento
finalmente l’attrezzo, calzato ad arte, adesso sì, non distaccarsi
dallo scarpone; ci si può avviare dunque. Tuttavia sono un po’
scettico sul fatto che questi due grandi “ fagioli di legno “,
perché è proprio questa la forma delle časpe,
possano sostenermi e impedire il mio sprofondamento. O dovrò invece
guardarmi bene dal non scivolare dal momento che la neve mi sembra
piuttosto gelata che molle? Questi… “ cosi “ non tengono
assolutamente su un tipo di superficie piuttosto compatta. Per mia
fortuna la neve è sì gelata ma non certo di una lastra di ghiaccio
si tratta, bensì di una semplice crosta a livello superficiale.
Noto, quasi con piacere, che sulla crosta appunto, quella lasciata da
un paio di sci è al momento l’unica traccia, peraltro sembra
essere nemmeno tanto recente, di umano passaggio; così d’istinto,
decido di volerla, in un certo qual modo, seguire. Non ho certezza di
dove mi condurrà quella traccia, è la prima volta che vengo da
queste parti, ma in questo momento è l’unico segnale certo e nel
mio intimo penso ad una sorta di aiuto che qualcuno ha voluto farmi
trovare; a pensarci bene, anche il risicato spazio per lasciare
l’automobile, dal momento che c’era soltanto quello, mi aveva
fatto già pensare ad una insperata concessione. Unica è pure la
casa, seppur abbandonata, che lascio dietro di me, affacciata sul
mondo, quale avamposto di certezze, prima di varcare la soglia e
inoltrarmi in una realtà di giornata scevra di dati certi su dove,
per dove e chissà dove. I primi passi sono incerti, sono di
assestamento, devo acquisire sicurezza magari cercando un migliore
equilibrio, in questo aiutato anche da un paio di bastoncini, quelli
che di solito uso per lo sci di fondo, per poi progredire in totale
scioltezza. Nonostante le numerose uscite in montagna, in altri
periodi dell’anno, che alla fine si traducono in un vero e proprio
allenamento, mi ritrovo ad ansimare fin da subito perché le mie
membra sono ancora…fredde, perché quegli arnesi ai piedi…non ho
ancora avuto modo di imparare a usarli e muoverli correttamente sulla
neve che oltretutto non immaginavo di trovare così alta. La neve
sarà pure alta, tuttavia da giorni, il gelo, il termometro
dell’automobile segnava -9° alle 9, ora del mio arrivo al Passo,
il gelo ha cristallizzato davvero tutto quanto. La crosta che si è
formata, e che io, dopo lo sciatore che mi ha preceduto, incido
inevitabilmente, rilascia sinistri scricchiolii e strane impronte
vanno a formarsi e ad intersecarsi con quelle ben più regolari degli
sci. Eh sì, ogni cosa qui è rimasta immobile, alberi e cespugli
compresi, fermi anch’essi all’ultimo loro segno di vita,
addirittura il tempo sembra rimasto fermo ad una data imprecisa del
passato; è quantomeno curioso per un posto così relativamente
vicino alla civiltà e allo stesso tempo così tanto alieno da essa.
Ormai ho preso un buon passo, tanto da allontanarmi in breve dalle
previste fatiche iniziali. Ed ecco apparire le prime case, non mi
incuriosiscono più che tanto, sono malinconicamente spente, con
indifferenza le lascio alla mia destra, ho altro a cui pensare in
questo momento che ad un paio di case disabitate, anche se sarebbe
interessante scoprire perché nessuno ci abita dal momento che la
strada principale non è già troppo distante. Nel prosieguo
sopraggiungo ben presto a una larga insellatura sulla quale abbandono
i passi precedenti e tolgo lo sguardo da quel paesaggio piuttosto
monotono che sin lì mi aveva fatto compagnia, per volgerlo dalla
parte opposta e, letteralmente a bocca aperta, ammirare la IV
stagione, quella invernale ovviamente, di un quadro naìf,
ma in questo caso, privo di genti di sorta. Tale è la sensazione che
provo d’acchito, una sensazione di bucolica bellezza offerta dal
paesaggio che si è aperto davanti ai miei occhi, così da lasciarmi
esterrefatto. Per un attimo soltanto trattengo il respiro, lo farò
spesso anche più avanti, è inevitabile fermarsi e rimanere in
ascolto: c’è tanto silenzio tutto intorno a me, c’è tanta pace
intorno e…dentro di me, proprio quello che andavo cercando, proprio
quello di cui avevo bisogno. Non è che avessi avuto un motivo in
particolare per allontanarmi da casa in questo modo, da solo
soprattutto e con decisione repentina. Non c’erano assolutamente
screzi da dimenticare e tanto meno crisi profonde su cui meditare;
probabilmente quel po’ di stanchezza in più dovuta a un periodo di
lavoro più intenso avrò segnato il mio sistema nervoso in maniera
più rilevante del dovuto. Cosa c’è di meglio allora che una
tonica sgambata e un sano penetrare la natura, così con dolcezza e
con amore dichiarato verso di essa, come sto facendo ora io? A
proposito di amore, come farò questa sera, abbracciando la mia
donna, a narrare questa che, seppur agli esordi, si presenta come una
giornata indimenticabile? Come farò, sfiorandola con un tenero
bacio, a nascondere un certo malcelato rammarico per la compagnia
mancata? Come farò a sfuggire i suoi prevedibili rimbrotti e a non
sorridere del suo broncio che quasi sicuramente ne seguirà? La
decisione è stata repentina sì da averle confidato le mie
intenzioni soltanto questa mattina. Ehm…a proposito di amore…
Adesso
in lontananza posso osservare alcune cime, non sono molto alte da
queste parti, tuttavia la neve che le ricopre le rende oltremodo
caratterizzanti l’amenità di questo posto: alcune sono boscose e
allora gli alberi gelificati che si stagliano in controluce assumono
le sembianze di fiabeschi mostri, altre sono prive d’alcunché e
allora la fantasia mi riporta su quei lisci e immacolati pendii con
un gioco infantile fatto di slitte di legno lanciate a rotta di collo
in un’improbabile gara fra amici. La meta, per il momento non posso
far altro che immaginarla da qualche altra parte ad attendermi…o
forse si sta nascondendo giocando a rimpiattino con le mie
aspettative? Ma tutta la serenità di questa giornata è dalla mia
parte, non posso temere alcunché. Noto che non c’è nessun segnale
a tradire presenze animali di qualsiasi tipo, né un’impronta né
una scia, la neve, fatto salvo per la traccia che ancora mi precede,
tutto intorno è intonsa e il brillio che emana, grazie all’
insistere dei raggi di sole su di essa, è talmente forte che mi
costringe ogni tanto a socchiudere lo sguardo nonostante gli
occhiali, un motivo in più per fermarmi e trarre un respiro profondo
per sospenderlo immediatamente dopo. Questo gesto naturale mi
consente di trasferire l’immagine catturata dalla visione
primordiale dentro alla mia mente per collocarla successivamente sin
dentro alla mia anima. Vorrò abbassare più spesso le palpebre,
anche più avanti, successivi bagliori di vita me lo consentiranno.
Dopo
l’interminabile salita iniziale, che poi tanto iniziale non lo è
stata di certo, visto che è già passata più di un’ora
dall’avvio, adesso per un breve tratto scendo a mezza costa verso
sinistra e faccio caso a come, in discesa le časpe
si comportino diversamente sollevando degli alti sbuffi di neve
farinosa fuoriuscita da sotto la crosta nivale violentata. Dopo
questo diversivo riprendo a salire dalla parte opposta per arrivare
ad un segno di pia presenza posto nei pressi di una biforcazione: un’
edicola di devozione, una sacra immagine, una esile madonnina con il
bambinello in grembo, per un segno della croce dal frettoloso
pellegrino estivo ma che io, oggi, adesso, calatomi nell’unicità
di un clima così particolare donato da questa regale giornata di
fine inverno, trasformo, con la mia sosta, il mio raccoglimento, in
una semplice ma accorata preghiera: è un ringraziamento. Fra quattro
giorni soltanto sarà il primo giorno di primavera, forse per questo
oggi c’è un sole così splendido, si sta preparando ad
accompagnare il ritorno della nuova stagione, tuttavia intiepidisce
soltanto, non scioglie ancora e i suoi raggi si soffermano appena per
svelare anche le cose più piccole di questo paesaggio, per renderlo
più grande e soprattutto brillante al piacere del mio fortunato
assistere. Una discesa leggermente ondulata, di neve liscia e
luccicante, racchiusa fra quinte di alture, quelle prospicienti
ricche di multiformi sculture di ghiaccio, non semplici galaverne ma
artistiche forme da mano sapiente scolpite, ah la natura, questa Gran
Signora! Sì, proprio una distesa ondulata, di neve liscia e
luccicante, ma ora si intravedono alcune case avvolte da sciarpe
cangianti che lasciano intuire a malapena il loro sguardo di magioni
in letargo, ce n’é una qui, un paio più in là, un’altra più
avanti dove la traccia, per me, si appresta a condurmi scendendo
nuovamente. Ed è proprio e soltanto questa ultima ad avere un filo
di fumo bianco uscire di traverso dal cappello invernale sul tetto e
dissolversi nell’immenso azzurro di questa giornata: è un
attestato di qualche presenza umana. Continuando l’avvicinamento
noto che accostata alla casa c’è un’ altra costruzione da dove
mi par di udire l’ uscita di lamenti che in realtà sono dei
muggiti, qualche mucca starà manifestando pasciuta tutta la sua
gioia per il fieno quotidiano o tutta la sua mestizia per la forzata
reclusione. Dietro la piccola stalla una struttura in legno ricoperta
di neve e stalattiti di ghiaccio mi lascia perplesso e pensieroso su
cosa possa essere ma è un attimo perché dopo averle tolto il suo
abito gelato riconosco un kozolec,
ma il fieno per gli armenti, che d’estate se ne sta lì a prendere
il sole, è già nel fienile da un bel pezzo. A fianco della porta
d’ingresso dell’abitazione, appoggiate sulla facciata, due corte
tavole sagomate ad arte, con una striscia di cuoio intrecciato in
luogo degli attacchi, vogliono essere a tutti i costi un paio di sci,
rudimentali certo ma per sempre un paio di sci e il proprietario, che
senz’altro li userà ancora per un po’, si intuisce, è un
bambino che sta manipolando un bel mucchio di neve dandogli le
fattezze di un pupazzo proprio davanti casa. Il pupazzo è molto
semplice, s’intende, ma forse per questo riesce carino e simpatico,
un cappello di paglia, retaggio sicuramente di un’attività
contadina estiva e locale, probabilmente del padre, calato sulla
testa, foglie, pigne e rametti al posto degli organi che vorrebbero
renderlo vitale, le mani però bisogna immaginarle celate da
ipotetiche tasche oppure aggrappate al grosso ramo a far da bordone;
lo sguardo che gli si legge, però, non è quello solito dei pupazzi
di neve, spiritoso, allegro, ma non è neppure…corrucciato
è…è…semplicemente triste, lo paragono all’espressione di
fatica dell’occasionale viandante quale mi trovo ad essere io in
questo momento. In vece sua è il bambino ad esser felice e
soprattutto orgoglioso nel presentarmi il suo capolavoro; il suo
sorriso insegue il mio saluto per assecondare i complimenti che gli
faccio. Anche alla giovane madre apparsa sull’uscio incuriosita
dall’insolita presenza elargisco il mio benevolo saluto che viene
contraccambiato da un altrettanto benevolo sorriso ma con l’aggiunta
di un’offerta d’ospitalità, infatti mi invita ad entrare per
consumare un čaj
caldo, caldo. In circostanze come questa un fumante tè alla erbe
alpine, come si usa da queste parti, non si rifiuta mai.
Attraversando un piccolo atrio entriamo direttamente nella spaziosa
cucina, qui trovo un’altra donna, anziana, curva sulle faccende
domestiche e forse anche sulle sofferenze e privazioni della sua vita
passata. Anche a lei va il mio saluto e ringraziamento anticipato. Fa
molto caldo qui dentro, non è una stufa a fornirlo ma uno spargher
sul cui buco centrale una pentola, di quelle in rame che non vedevo
da tanto tempo, lascia sobbollire il pranzo di quella famigliola, dal
profumo che ne esce potrebbe trattarsi di enolončica.
Da una pentola più piccola, la donna anziana preleva con un curioso
mestolo di legno il tè che mi viene offerto. Fa molto caldo sì, ma
questo calore deve servire a riscaldare non solo la breve giornata in
cucina ma anche le lunghe notti di questa gente la cui camera da
letto, o per meglio dire la stanza dove vanno a dormire, attigua alla
cucina, vi passo lo sguardo per un attimo perché la porta è aperta,
non gode di ulteriori fonti di riscaldamento. L’abitazione è
proprio tutta qui, piccola? Certo, ma per quel che vi ho trovato
dentro e per quello che mi ha offerto, un momento di riposo ben
accetto, una tazza di caldo tè, la cortese disponibilità di quelle
donne, il piacere di scambiare quattro chiacchiere, è sicuramente
grande. Pur con tutte le difficoltà che ne derivano da una
conoscenza approssimativa della lingua slovena, parlo volentieri con
loro, mentre dalla tazza sorseggio il čaj
facendo attenzione a non scottarmi. L’anziana donna che mi dice di
suo figlio, al lavoro in città, in una fabbrica di sedie e che
ritornerà appena e soltanto nel fine settimana ( ecco svelate le
tracce degli sci, erano del giorno prima, quando suo figlio è
ritornato al Passo per scendere poi in città. In effetti mi era
sembrato che le scie terminassero proprio nei pressi di questa casa
anziché proseguire ); io che dico da dove vengo, che sono solo, dove
vado; la più giovane, la moglie che mi dice di loro qui ad accudire
le cinque mucche relegate nella stalla fintanto che la neve non si
sarà sciolta del tutto e l’erba avrà cominciato lentamente a
riprendersi; io che chiedo del bambino, come si chiama, della scuola,
se è l’unico; la madre che mi risponde di Mirko, questo il suo
nome, che andrà a scuola il prossimo anno; la nonna che aggiunge
orgogliosa di Mirko che è veramente un bravo bambino perché
costretto qui, solo; io che a questo punto chiedo informazioni per
proseguire nella mia fantastica escursione. L’inverno è rigido, è
lungo ma la serenità che leggo sui volti di queste persone mi fa
pensare a una continua primavera, anche se così non lo è affatto.
Vorrei lasciare un piccolo segno tangibile, qualche dinaro,
a pagare il tè, a ringraziare per l’ospitalità ricevuta, ma il
loro quasi seccato diniego lo interpreto come un’offesa alla loro
dignità di ospite, non insisto. Tuttavia la mancanza di comodità e
gli stenti sono manifesti e mi commuovo lasciando alle spalle tanta
umiltà e, pensando per un attimo a ciò che invece troverò stasera
di ritorno a casa, provo una strana sensazione e un senso di
amarezza. Se penso che mi sono preso un giorno di libertà per
fuggire dalle agiatezze quotidiane che tanto stress
ci procurano. Accidenti! In questo momento mi sento proprio
un…un…idiota! Mi rendo conto quanto l’uomo riesca così spesso
e bene ad essere meschino. Superato il momento di disagio tutto mio,
ringrazio nuovamente e a profusione mentre vengo accompagnato
all’uscio. Fuori ritrovo Mirko, bello rosso in viso, che non ha mai
smesso di giocare e di sorridere. Un rinnovato saluto proprio al suo
sorriso che mi permetto far posare accanto al suo pupazzo per un
personale ricordo fotografico. Riprendo il cammino anch’io con il
sorriso, ma nel cuore. Inevitabilmente di nuovo si sale ma per
entrare questa volta, poco più avanti, in un paesaggio diverso, in
un bosco, è una faggeta addormentata: gli alberi sono alti,
slanciati, affusolati,…cristallizzati! Sapevo che non avrei
incontrato difficoltà di sorta in questa escursione e allora il solo
piacere di camminare, magari goffamente, con quelle benedette časpe
ai piedi mi regala piacevoli suggestioni e la soddisfazione, ne sono
certo, traspare anche dal mio sguardo; se solo potessi vedermi!
Comincio a pensare anche alla meta, deve essere prossima ormai,
almeno questa è la sensazione, in parte forte delle informazioni
testé ricevute e in parte è una questione d’intuito perché più
si sale più lo spettacolo si accresce. Sto attraversando un vero e
proprio tunnel stupendamente bianco, arabescato in maniera fiabesca
dove i raggi del sole penetrano i rami degli alberi rifrangendosi
nelle mille direzioni di un sogno che diventa poco a poco realtà.
Per paura di essere rapito per sempre dalla magia di cotanto
paesaggio affretto il passo anche se vorrei soffermarmi un attimo di
più per godere a fondo di questa fantasmagoria: una grande
espressione di artistica naturale bellezza! Dai che ci siamo, so di
essere vicino al punto d’arrivo. Ancora un paio di case soffocate
dalla neve e senza fili di fumo a librarsi nell’aria, d’inverno
quassù non c’è niente da bruciare e nessuno da riscaldare c’è
soltanto la cruda Natura. Confido in questi segni per affermare il
mio arrivo prossimo alla meta. Sì, sì ecco il Rifugio, beh, lo
evidenziava anche la cartina che per precauzione, ma inutilmente, mi
sono portato dietro assieme al panino e la bibita che fra poco avrò
il piacere di consumare, alla macchina fotografica che ho utilizzato
spessissimo, agli indumenti di ricambio che mi serviranno più tardi
e alle speranze di trascorrere quantomeno una bella giornata, il
tutto riposto nello zaino e come sempre, prima di una qualsiasi
escursione, in una parte del mio cuore. Com’era logico che sia,
anche il Rifugio è chiuso ma…del tutto perché la tanta neve che
lo sommerge mi nega qualsiasi possibilità di accedere a qualsiasi
entrata. Non ho motivo di sconsolarmi piuttosto vediamo di andare a
cercare un po’ di onore sulla cima di questo monte anche se la
quota, poco più di 1220 metri è del tutto irrisoria se non ridicola
per uno abituato a salite ben più importanti. Nei pressi, la sommità
di un palo, con un’unica freccia che indica proprio la direzione
per la cima, a malapena spunta dalla neve, ma se anche questa
indicazione fosse stata celata come le altre, puntate verso chissà
quali destinazioni, non avrei avuto comunque difficoltà ad
individuare la mia, di destinazione, perché era fin troppo evidente
l’ultimo strappo da superare, l’ultimo sforzo da profondere.
Tuttavia, la cima non si lascia vedere perché occultata da una
contorta faggeta, ma la vetta è lì a pochi passi al di là del mio
vedere; ancora una piccola ultima fatica, che nemmeno avverto, anche
se questo ostacolo conclusivo sembra essere il più impegnativo
dell’intera giornata. Gli alberi qui non sono alti, slanciati e
affusolati come quelli ammirati più in basso; è palese invece tutta
la loro sofferenza, come vecchi stanchi, piegati alle magagne della
vita, rami e tronchi sono curiosamente piegati verso un’ unica
direzione, quella del tramonto, poveretti, hanno ceduto alle tremende
raffiche di bora che da nord-est fa sentire tutta la sua forza
talvolta pulendo anche il grigiore di tante giornate talvolta invece
accrescendone l’intensità durante il lungo inverno. Oggi per
fortuna avrà avuto…giornata libera! Adesso mi metto a fare anche
delle penose battute di spirito ma c’è poco da scherzare qui, i
rami contorti semisepolti da uno spesso strato di neve più farinosa,
probabilmente portata dagli ultimi refoli se non addirittura da
un’ultima nevicata, mi costringono a improbabili evoluzioni che
poco hanno a che vedere con la specifica tecnica di progressione in
ambiente innevato ma ormai sono al culmine, vale tutto! L’entusiasmo
letteralmente mi assale per questi ultimi metri che mi separano dalla
cima, anche se so già che qualsiasi panorama mi sarà negato a causa
della sua boscosità per di più congelata. Perché, arrivato a
questo punto sono capace di dimenticare le ineffabili immagini e gli
intimi momenti che hanno riempito questa mia mattinata di lunedì 17
marzo? Perché, il piacere di arrivare alla meta deve trasformarsi in
un mero momento di vanagloria per un’effimera conquista? Perché,
devo trasformare una piacevole escursione invernale in un
coinvolgimento fisico e mentale riservato per lo più a impegni di
tipo agonistico? Vorrei sopprimere questa mia foga ma tant’ è che
dopo “ strenua lotta “ finalmente lascio andare tutta la mia
soddisfazione sulla vetta: la meta programmata, agognata, raggiunta.
Evviva! Evviva! Evviva! Letteralmente gridarti al cielo, sto saltando
dalla gioia, mi sembra di essere un esaltato. Non mi riconosco in
quello che sto facendo e me ne do’ pena. Ancora una volta però la
natura viene in mio soccorso. La cima altro non è che una piccola
radura rubata alla vegetazione proprio sul culmine e, come avevo
immaginato, tutto intorno soltanto mostri di ghiaccio contorti che
negano qualsiasi possibilità di vedute aeree. Ma c’è un’ultima
sorpresa, uno stolp
di legno, alto 6/7 metri, da lassù sì che la vista spazia a 360°,
ma quella eccezionale veduta oggi la posso soltanto immaginare e
riservarla ad una stagione più propizia; la tanta neve che lo ha
sommerso la prima volta si è subito gelata e così pure quella
successiva e anche quella dopo creando degli strati sovrapposti ma è
la bora che modellando questo gelo ha creato una scultura unica e
irripetibile che soltanto Madre Natura avrebbe potuto concepire,
centinaia di ghiaccioli invece di pendere come stalattiti se ne
stanno tranquillamente in orizzontale, violentemente sospinti dalla
parte di dove nasce il sole, sembrano risucchiati in direzione
opposta. Che spettacolo! Che incanto! Adesso mi riconosco. Mi è
bastato rifiatare quel tanto affinché le mie funzioni cerebrali
ritornassero a un livello di normalità e improvvisamente adesso
rivedo le 4 ore precedenti, tanto mi ci è voluto per arrivare
all’apice, dove sono stato bene con me stesso grazie a questi
luoghi e ai loro silenzi, grazie ai piccoli e grandi segni
intelligibili di questa natura, grazie alla semplicità delle parole,
dei gesti, dei sorrisi incontrati. Adesso sì che non è esaltazione
la mia ma un’unica, vera, sincera, grande emozione. Alzo gli occhi
al cielo, che non ha mai smesso l’azzurro, vorrei salire ancora, se
possibile lungo la scalinata di cristallo dello stolp
e poi salire ancora e ancora un po’ fino ad abbracciare l’infinito
ma è soltanto un anelito che sorge dal profondo del mio cuore. Mi
soffermo ancora un po’ preda delle mie considerazioni e poi, ahimè
giunge il momento del ritorno. Il sole si è visibilmente inclinato
verso occidente, ma so che mi accompagnerà fino all’automobile
prima di essere inghiottito da un’altra gelida sera. Con il
pensiero sono già a casa, quante cose avrò da raccontare. E con il
racconto sarò già al domani, quante cose avrò su cui meditare.
Raccolgo in fretta tutte queste mie cose, quelle viste, quelle
pensate, gli entusiasmi, i dubbi, le speranze e quant’ altro sparso
d’intorno sfuggito al gelo, sfuggito all’immortalità, ripongo
tutto nel capiente zaino dei miei desideri e m’incammino.
GLOSSARIO
- ČRNI VRH = letteralmente Monte Nero; si tratta di un valico alpino nei pressi dell’omonimo paese, MONTE NERO D’IDRIA a ca. 70 km da Trieste
- LIPICA = LIPIZZA, nota località vicino a Trieste famosa per l’allevamento e addestramento dei cavalli di razza lipizzana
- LJUBLJANA = LUBIANA, dal 1991 dopo la separazione dalla Jugoslavia è la capitale della Slovenia
- SLOVENIJA = SLOVENIA, Repubblica Indipendente dal 1991 dopo la separazione dalla Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia ( FNRJ )
- NANOŠ = in italiano storicamente conosciuto come Monte Re, altopiano a ca. 35 km da Trieste
- VIPAVSKA DOLINA = letteralmente Valle del Vipacco
- AJDOVŠČINA = AIDUSSINA, località a ca. 55 km da Trieste
- COL = ZOLLA, località fra Aidussina e Monte Nero d’Idria
- ČASPE = si legge “ ciaspe “ ; ciaspole, racchette da neve
- KOZOLEC = si legge “ cosolez “ ; struttura in legno sulla quale si mette ad essiccare l’erba tagliata durante la stagione estiva; può essere di dimensioni anche molto grandi; fienile
- ČAJ = si legge “ ciai “ ; tè
- SPARGHER = anche SPACHER; molto usato nel dialetto triestino, focolaio economico; storpiatura dal tedesco SPARHERD: SPAREN/risparmiare e HERD/focolaio
- ENOLONČICA = si legge “ enolonciza “ ; letteralmente tutto in uno; dicasi di minestrone a base di verdure e carne, solitamente avanzi di pasti precedenti
- DINARO = era la moneta dell’ex Jugoslavia; il Dinaro Serbo è attualmente la moneta della Repubblica di Serbia
- STOLP = torre
1 commento:
Buon giorno Luciano,
non sapevo dell'esistenza del tuo blog, piacevole ed interessante scoperta! :)
Ho inserito il collegamento ipertestuale nel mio post sull'Euromarathon.
A presto, magari in uno dei tanti meravigliosi sentieri della Natura...
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