TRAIL
DEI 3 CASTELLI ( T3C )
Gemona
del Friuli - domenica 18 maggio 2014
8
ore 7 minuti 0 secondi segna il display al passaggio della linea del
traguardo da parte del concorrente col pettorale n° 236. Ebbene sì
sono io, ho portato a termine questo trail
che inizialmente doveva essere ultra
ma che a causa delle previsione meteo catastrofiche per il pomeriggio
ha indotto gli organizzatori ad accorciarlo e a ridurlo, si fa per
dire, a semplice maratona alpina ( le voci sul chilometraggio erano
discordi ) ma con un dislivello che niente ha a che vedere con la
tradizionale corsa di 42,195 km, nella versione integrale dovevano
essere 3550 m, a occhio e croce, dopo lo “ sfalcio “ dovrebbero
essere rimasti 2800/3000 m, cento più cento meno. Adesso che è
finita posso godermi l’atmosfera rilassata e festosa del dopo gara:
sorrisi da parte di tutti, concorrenti e organizzatori, andirivieni
di espressioni felici di chi sa di aver fatto qualcosa di speciale,
commenti e opinioni fra i partecipanti, battute e prese in giro da
parte degli amici, tutto rigorosamente davanti a un fresco, buono e
agognato bicchiere di birra , il primo, che avvia senz’altro ad una
lesta ripresa fisica, mentale e, perché no, spirituale. Lo speaker
ormai chiama i vincitori alla premiazione per una curiosità dei
presenti alquanto relativa visto che ognuno di noi si sente a modo
suo vincitore; dal primo che ha chiuso in 4h 34’ all’ultimo che
ci metterà ( lo vedrò il giorno dopo in internet ) più di 11h,
ognuno in cuor suo ha assaporato il gusto di aver conquistato
qualcosa oggi, dalla prestazione di alto spessore sportivo alla
consapevolezza di essere arrivato in fondo grazie alla caparbietà e
nonostante un’approssimata preparazione, da chi ha preceduto
qualcun altro a chi ha superato se stesso e le sue ataviche paure
fino a quel momento dissimulate nei soliti “ non ce la farò mai “,
da chi ha corso per tutto il tempo a chi si è fermato ad ammirare
gli scorci più selvaggi, da chi si è limitato a sorseggiare
soltanto un bicchiere di sali minerali ai ristori a chi ha accettato
addirittura un pezzo di formaggio agli Stavoli Scric, la prima
edizione di questo trail
ha dispensato una sola vittoria, ovviamente per il primo arrivato, ma
ha elargito tante piccole conquiste, per tutti gli altri .
Già
pioviggina quando alle 08.02 viene dato il via ai quasi 300
partecipanti delle 2 versioni, lunga e corta, del T3C, incredibile si
parte in discesa, ma è soltanto un attimo, comincia subito la salita
al Castello dove a causa di un restringimento si perde l’abbrivio
iniziale causando uno sfilacciamento dell’intero gruppo sin dalla
partenza. Dall’altra parte dei bastioni ampi scalini ci portano ad
attraversare parte del centro storico e ad uscire dalle mura e dopo
la galleria “ Glemine “ finalmente ha inizio il trail
quello vero, quello con la T maiuscola, dove sotto le scarpe tecniche
sfilano solitamente tutti i tipi di terreno, dalla carrareccia al
sentiero, dal sasso alla radice, dal fogliame secco all’erba alta,
dal terreno franoso a quello compatto, dalla pietra scivolosa alla
neve, e così il gioco si fa duro ma bello. Siamo ancora in tanti
lungo il Sentiero dei 500 che avrebbe dovuto portarci al Zuc de Crôs
e ognuno, a modo suo, cerca di impostare la propria corsa magari
tallonando chi lo precede perché gli è consono il suo passo,
qualcuno stenta a rompere il fiato e il suo ansimare si diffonde nel
primo silenzio di questa uggiosa domenica di maggio che nulla ha di
festaiolo e tanto meno primaverile. La temperatura è tuttavia
gradevole seppur appiccicaticcia e il sudore già copioso si mescola
alla pioggia fine che non ha ancora deciso cosa fare di questa sua
giornata. Al contrario noi abbiamo già deciso la nostra e al bivio
delle 2 corse, quelli della lunga si ritrovano come per incanto da
soli, infatti soltanto ¼ dei partecipanti, obbligati, per così
dire, a non scendere verso Artegna, continueranno a salire, con
impegno via via più notevole, verso la prima cima, il Cuarnan con i
suoi 1372 m. Non l’ho mai conquistato nemmeno da escursionista ma
soltanto con lo sguardo negli innumerevoli passaggi autostradali e
l’idea che la risalita di quel monterone verde fosse una formalità
mi ha fatto pensare di poterlo affrontare in tutta scioltezza. Mai
idea simile si rivelò più sbagliata, una volta superate Lis Presis,
la lunga cresta sud-ovest, nel suo ingannevole verdeggiare, si
presenta piuttosto ripida e le sue balze non mi danno tregua. Tanto è
avvolgente la nebbia o nuvole basse che dir si voglia che il panorama
risulta uguale da entrambi i lati, infatti, non si vede niente, però
si intravedono il filo di cresta e l’esposizione, non male per
essere questo un trail.
La freccia escursionistica segna 1h 30’ alla cima così so che ci
avrei messo, con il mio passo, poco più di mezz’ora per arrivare
alla chiesa ivi collocata. Dopo 40’ la sagoma del Redentore è a
malapena visibile ma sono in vetta, si scende, un primo controllo
presso il Ricovero e più giù in sicurezza nel bosco, veramente
piacevole adesso dopo il primo vero sforzo di giornata. Ristoro alla
Malga Cuarnan prima di scendere alla Sella Foredor con il Cristo in
attesa di quest’altro povero cristo che dopo la breve rincorsa si
deve lanciare alla conquista della Cima Coppi, il Chiampon per
l’occasione. Già detto che si vede poco o nulla posso soltanto
immaginarla la cima, lassù. Anche qui il segnavia del C.A.I. mi da’
il tempo approssimativo di salita, scrive 1h 50’, impiegherò 1h,
ma quanta più fatica stavolta. Piano, piano perdo di vista i miei
compagni d’avventura che più allenati e leggeri di me si defilano
ben presto verso l’alto letteralmente inghiottiti dalle nebulose
spire. Nel 2006 un Vertical Kilometer proprio qui, in una splendida
giornata autunnale, mi aveva regalato ben diverse sensazioni,
splendide, di una salita impegnativa ma piacevole, un percorso
panoramicissimo dove porre però il massimo dell’attenzione
specialmente nell’attraversamento del famigerato e storicamente
triste Passo della Signorina. Adesso che devo tirarmi su usando anche
le braccia per superare roccette e gradoni, che il panorama, in parte
celato dalla nebbia, mi lascia, anche qui, intravedere soltanto la
notevole esposizione della salita, che mi devo mettere l’antivento
perché la temperatura sarà sui 2-3 ° C, che il voltarmi mi fa
ricordare di essere anche sceso in scioltezza lungo questo sentiero,
mi riesce difficile pensare che otto anni fa fosse stato tutto così
semplice e oltremodo piacevole. Non ho tempo per pensare a cosa sia
dovuta questa trasformazione nell’approccio mentale alla salita del
Chiampon, devo impegnarmi a fondo ma soprattutto rimanere concentrato
sul percorso che non ammette sbagli di sorta. I numerosi asfodeli
intravisti qualche centinaio di metri più in basso sono sfilati
rapidi come i versi di una poesia senza rima. Io invece, che mi
trascino su questa via antica bagnandola del mio sudore, per rime
baciate come… tanta fatica e profondo dolore, scolpisco su queste
rocce la mia Spoon River. Il controllo ai 1709 m della cima del
Chiampon è una sorta di liberazione e anche provvidenziale al fine
di indicarci la direzione da prendere per la discesa. Giù sul ripido
macereto in direzione nord, pochi passi ed ecco la neve annunciata
marcia e così è ma chi ci ha preceduto ha lisciato tutto e le
scarpette da trail,
nonostante il buon grip,
non affondano e non “ prendono “. Alla terza culatada
rinuncio
a una discesa ritta e, pur nell’incognita del percorso da seguire,
qui la nebbia cela molto se non tutto, mi lascio sedere e scivolare,
i bastoncini raccolti al mio fianco destro servono da freno e così
la mia corsa, pardon scivolata, è controllata. Dopo una cinquantina
di metri, quando il pendio sembra raddrizzarsi, anch’io mi
raddrizzo ed entro nel bosco saltellando. Sono assieme ad altri 2
compagni di (s)ventura e assieme cerchiamo le bandierine, le tracce
del passaggio sulla neve sono ambigue, qualcuna a destra l’altra a
sinistra, segno che qualcuno ha sbagliato e qualcun altro conosceva
bene il percorso. Si arriva al rifornitissimo ristoro degli Stavoli
Scric, dove fanno bella mostra sul tavolo birra e formadi,
ma è meglio rimanere su tè e crostata, un pezzo di banana, anche un
po’ di zucchero è gradito, non si sa mai, qualche calo improvviso.
Riparto da solo e da qui in avanti rimarrò solo fino al traguardo,
ma quante cose da raccontarmi e mostrarmi ma anche da contraddirmi in
questo lungo tragitto. Già dopo la Forca di Ledis, nei pressi della
chiesetta, due addetti improvvisatisi fotografi mi “ impongono “
una foto ricordo con tanto di posa, l’alternativa era un tai
di blanc
che la mia astemia ha di fatto immediatamente escluso. Questo breve
sali e breve scendi alla volta della Val Venzonassa sarà
particolarmente piacevole, per la sua scorrevolezza, per i guadi sul
Bombasine, gli stavoli semi abbandonati, le presenze rassicuranti
degli addetti, la selvatichezza del luogo e poi la sorpresa della
giornata, luoghi a me sconosciuti e che piacevolmente scopro ora,
proprio la Val Venzonassa e il suo vivace torrente che accompagnerà
con il suo canto e per un bel pezzo i miei esterrefatti silenzi.
Nonostante il grigiore della giornata l’acqua laggiù e al mio
fianco mantiene tutta la sua turchese bellezza, imbellettata dai
numerosi affluenti piccoli o grandi che siano, conosciuti o senza
nome, eterni o effimeri, che incessantemente rendono bella e felice
questa valle dimenticata. Sorrido a questo regalo, il mio cuore
sorride all’ignoto donatore ma il mio passo disincantato mi porta
oltre ed è un ponte, un ponte di cemento (?) ad allontanarmi da
questo paradiso e riportarmi dove la fatica si fa nuovamente sudore.
Si sale ripidi, ancora, verso immaginati incontri spirituali ma la
romita chiesa di S.Antonio si defila alla mia vista. Questa è
l’ultima salita vera e la discesa su Venzone diventa una
liberazione soprattutto mentale, almeno a me sembra sia così. Ed
ecco di nuovo la Venzonassa da superare, stavolta su un ponte di
legno, e salutare per l’ultima volta, quest’oggi.
L’attraversamento di Venzone potrebbe essere una passerella, in
realtà, e come è giusto che sia, la gente ha altro a cui pensare
che al mio passaggio di folle corridore, questo mi consente di non
venir distratto e magari pensare che è presto finita ( ma non sarà
così ). Ben trovato ristoro! Come nei precedenti mi prendo tutto il
tempo necessario per gustare quel poco che mi sento di prendere, ma
va bene così. Venzone la conosco un po’, per i trascorsi
turistico-escursionistici e uscire dalla porta di San Genesio a est e
dirigermi alla volta della chiesetta dei Santi Giacomo e Anna
piuttosto che salire a quella di Santa Caterina mi permette di trarre
un grosso sospiro di sollievo per il prosieguo verso Rivoli Bianchi.
Prima di intraprendere la salitella per Santa Agnese, una bucolica
immagine interrompe la mia frenesia: un gregge tenuto al pascolo dal
suo pastore, forse nell’unico spiazzo verde aperto sul candore
della pietraia, si staglia sulla durezza degli appicchi del Plauris;
dopo l’indifferenza cittadina mi ritrovo nell’ambiente che più
mi è consono, la natura discosta e trascurata. Su alla Sella e alla
chiesetta dedicate a Santa Agnese, qualcuno ha pensato che togliere
le indicazioni del percorso poteva essere uno scherzo da furboni,
mah! Per fortuna che di fronte al mio imbarazzo sono venuti in aiuto
dei chiassosi scout accampati nei pressi dandomi le indicazioni per
proseguire senza fallo. Gemona laggiù è un altro sospiro di
sollievo, la torre ingabbiata del Castello mi fa l’occhiolino: “
Guarda che devi venire fin qui sotto, muoviti ! “ L’imperativo è
quasi un dileggio per quella che ormai potrebbe essere la volata
finale mentre percorro l’ampia carrareccia che in leggera discesa
m’invoglia a un passo accelerato. Un nastro bianco-rosso posto di
traverso al mio muggesano
veleggiare mi riporta alla realtà e all’essenza del trail,
il sentiero, il sentiero nel bosco, il sentiero in salita. Ebbene sì,
Gemona scompare nuovamente alla mia vista e alle mie brame. So per
certo dove mi trovo e cosa mi aspetta, questo è il Sentiero
Naturalistico Silans, la cui percorrenza, per così dire a ritroso (
solitamente si parte da Gemona per aggirarla in senso antiorario e
scendere a Ospedaletto nei pressi del lago Minisini, dopo la Sella di
Santa Agnese e il Monte Cumieli ), mi porterà sulle alture che
sovrastano Gemona con il Monte Glemine su tutte. Il Torrente
Vegliato è ancora in lontana attesa del mio passaggio; da un po’
ho rinunciato anche a pronosticare l’ora del mio arrivo, non ne sto
azzeccando alcuno, meglio lasciar perdere e concentrarsi veramente
sugli ultimi chilometri. Oramai fuori da ogni schema di gioco, come
nel gioco del calcio, anch’io sto dando il massimo per raggiungere
quantomeno il pareggio, sì, sento che in questo momento sto
perdendo, sto soccombendo. Devo raccogliere le ultime energie e
spenderle lungo un tragitto che non ricordo più come è fatto e
intanto si fa strada in me una strana consapevolezza. Bene, bene, si
scende, dai che stiamo per arrivare, le gambe girano ancora,
probabilmente le bellezze che mi circondano si saranno meravigliate
della mia assenza contemplativa oppure avranno capito la mia
sofferenza e cercano di assecondarmi trattenendosi dal catturarmi,
adesso sento di non avere tanto tempo per godermi lo spettacolo,
peccato, ma già ne sono certo, sarà per un’altra volta. Sono
sull’asfalto, in strada, mi viene da dire finalmente, ma non ne
sono del tutto certo, infatti: “
Fuarce, fuarce, ancjemò le ultime salide e dopo tu sês rivât! “
. L’addetto all’incrocio e lì per direzionarmi e lo vedo
sentitamente dispiaciuto nell’indicarmi le scale che portano al
Castello, che scemo sono stato a pensarla finita, mi ero dimenticato
che alla partenza quella scalinata l’avevamo percorsa in discesa,
bon dai, dopo ci sarà veramente quel pezzo di salita che si farà
discesa per agevolare la mia planata sul traguardo. E così è: entro
in Piazza del Ferro allo squillìo di trombe che vorrebbero
interrompere la mia pace interiore, ma non è così, il battito forte
del mio cuore si è chetato da tempo ormai, forse già dalla salita
al Cuarnan o quella del Chiampon o….boh! Vengo accolto invece da un
piacevolissimo incoraggiamento, un largo sorriso con annesso doppio
click!
e un grande “ give
mi five
“ di miei concittadini arrivati da poco anche loro dopo un giretto
di 30 km dalle parti di Artegna e dalla cima del Cuarnan. A questo
punto è proprio finita, ma davvero? E la strana consapevolezza? Beh,
non era strana per niente perché il mio commento finale la dice
lunga su questa indimenticabile cavalcata. Dopo quasi 35 anni di
montagna ( di cui 30 con il Club Alpino Italiano ) durante i quali
avevo imparato che dopo ogni salita c’è sempre una discesa, sono
bastate 8 ore per smontare completamente questa mia fede, oggi ho
scoperto, facendomene una realtà, che dopo ogni discesa c’è
sempre un’altra salita. Più tardi quando tornerò a Trieste,
quando rimetterò piede in casa, domani quando tornerò al lavoro e
soprattutto nei prossimi giorni quando girerò nuovamente la chiave
della messa in moto e risentirò il borbottio del mio motore forse ci
avrò ripensato o addirittura non la penserò più o per niente così
ma … quella sarà un’altra storia.
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