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LETTERE A KUGY »
Illustre
Dottor Kugy,
Ancora una
volta ha voluto renderci edotti su quelli che sono i monti a Lei
più
cari. Ho appena terminato di leggere, come sempre entusiasticamente,
l'opera sua ultima: «Dalla vita di un alpinista» un libro
fantastico, dove la vastità della Sua narrazione trova puntuale
conferma a quello da Lei già corrispostoci in termini letterari.
Detto appuntamento permetterà ancora una volta a quegli appassionati
di montagna, che per mille ed un motivo non possono ad essa
direttamente avvicinarsi, di essere comunque presenti loro stessi
in quei luoghi che Lei ha voluto, attraverso incomparabili immagini
scritte, regalarci.
Fra i tanti
episodi legati ad altrettante ascese di monti più o meno importanti
ce n'é uno in particolare che ha colpito sì il mio cuore per la Sua
dolcezza descrittiva, ma ha anche messo in moto nella mia
immaginazione un pensiero fantarealistico da preoccupazione futura.
Certamente
Dottore, Lei comprenderà il mio stato d'animo nell'immaginare
una
realtà mistificatoria del suo sentimento cosi puro verso la purezza
della natura nel suo manifestarsi.
Il racconto
che Lei fa, della prima volta sulla Golica, entusiasmerebbe
chiunque,
tanto più un animo sensibile quale il mio.
Cito qui
alcuni passi:
«......
sembrava che lassù vi fosse della neve fresca, perché i verdi
pendii erano tutti inzuccherati».
Quale
sensazione fiabesca traspare da simile frase e poi la scoperta
rivelatrice. «Una moltitudine di narcisi bianchi copriva i prati,
narcisi così belli e tanti che mai...» — grande meraviglia —
«Narcisi senza fine, narcisi in ogni dove» — sospeso nel tempo
dello spazio, colgo in queste parole il Suo respiro trattenuto per
concedersi l'immagine successiva ancor più esaltante — «Era bello
vedere il fresco verde primaverile e, sopra, quella dovizia di fiori
candidi, oscillanti e annuenti sugli esili steli, dal profumo
inebriante». Mi permetta Dottore, ma qui la Sua anima che scrive
raggiunge vette altissime. Un simile messaggio d'amore verso la
natura La vede in totale coinvolgimento nella rivelazione dai toni
mistici; «Ed ecco che io salivo una montagna di narcisi». Seppur
filtrate dalla Sua scrittura pur sempre esemplare, quelle immagini,
da Lei cosi sublimemente sfiorate, sono giunte al mio cuore con il
fascino dell'unicità a pochi concessa.
Spero in un
prossimo futuro di poter essere io a trasmettere grandi sensazioni in
piccoli cuori...
Da qui sorge
la mia preoccupazione. Chissà se paesaggi simili resisteranno
all'annunciato progresso o se sin d'ora dobbiamo pensare a un futuro
completamente privo di poesia? L'idea di una simile eventualità è
sconvolgente. Cosi quel pensiero fantarealistico — di cui Le
accennavo più sopra — riaffiora, ma forse è meglio che rimanga un
pensiero e un problema soltanto mio.
Spero Dottore
con questa mia di non aver tolto troppo tempo al Suo scrivere che
senz'altro apprezzerò nuovamente e presto attraverso altre
pubblicazioni.
Devoti
ossequi...
Nel 1932 anno
della prima edizione in lingua italiana del libro «Dalla vita di
un
alpinista», una lettera di questo tenore potrebbe aver raggiunto
il Dottor Kugy nella sua casa?
Se fossi
vissuto a quel tempo gliel'avrei scritta e mandata veramente?
Purtroppo oggi posso soltanto giocarci. E in questo gioco di
impossibile corrispondenza trovo lo spunto per «mandare» un'altra
lettera al dottore e dirgli...
Illustre
Dottor Kugy,
a seguito
della precedente mia del..., mi pregio di informarLa dell'avvenuta
ascensione
del Monte Golica da parte di chi Le scrive.
Con queste
righe spero di poterLe dare un'ampia visione di ciò che ho trovato a
distanza di tanti anni.
Partito dalla
nostra Trieste, passando per Lubiana, arrivo a Jesenice e mi
trovo
subito avvolto in quella che reputo essere l'attuale e ineluttabile
conformazione sociopolitica del luogo: fabbrica-lavoro.
Le spire di
fumo giallastro indefinito si elevano verso il grigiore delle nubi
uniformandosi
allo statico squallore dei palazzi che si mescolano agli ignari.
Svolto
l'angolo e penso, sono salvo.
Nonostante la
giornata avvizzita colgo l'espressione della primavera in quei verdi
boschi che interseco salendo a bordo della mia... (sigh!) utilitaria.
Anche qui ormai si sale lungo tornanti d'asfalto. A momenti incespico
su uno sbuffante pullman che arranca verso chissà dove.
Il paesaggio
si apre, per quanto possibile e concesso dalla nuvolaglia, alla
mia
vista. Cerco di immaginare da qualche parte la meta, ma tanto il mio
cercare si perde nell'infinito, tanto la testa mi gira. Allora provo
a concentrarmi su quello che ho raggiunto in questo momento.
Dovrebbe
esserci un rifugio, presumo alpino, tipico ed accogliente. Ciò che
trovo invece, è un enorme albergo denominato e più o meno
tradotto«Casa sotto la Golica». Ma allora, da qualche parte c'è
questo monte. Assieme all'albergo - rifugio, trovo parcheggiati altri
quattro pullman in attesa di quello sbuffante e arrancante poco prima
superato, decine e decine di automobili, gente a frotte. La mia
spontanea domanda è: — Cosa succede e dove va tutta questa gente?
Dottore, Lei non
ci crederà, ma gruppi di «alpinisti» provenienti da ogni dove
della Jugoslavia, sono convenuti quest'oggi qui, in questo sperduto
angolo della...Carniola, per vedere che cosa? I narcisi. Quella
moltitudine di narcisi bianchi che Lei, Dottore, aveva così tanto
decantato nei suoi racconti.
Va bene, mi
dico, saremo in compagnia e, lasciato il mezzo di locomozione in un
posticino fra le case che contornano l'albergo mi accingo a salire.
Ma prima cerco
di capire un po' meglio questa realtà, aiutandomi con i programmi
delle locandine qua e là affisse e con quello striscione disteso fra
due alberi. «Benvenuti alla festa dei narcisi». Manifestazioni
varie, canti, balli, orchestrine, gruppi folkloristici, camminate,
mostre, premiazioni, discorsi, chioschi e... dulcis in fundo...
l'elezione di MISS NARCISO 1988. E tutto questo per 15 giorni
consecutivi.
Dottore, mi
scusi, ma questo Lei non ce lo ha narrato. Ci ha detto si, della
gente
in festa, dei canti in occasione del «Corpus Domini», dei
pellegrinaggi, ma allora mi sembrava tutto cosi pio da infondermi una
liberatoria serenità inferiore. Adesso, la sensazione che provo è
d'incredulità, aspetto più appariscente, di vacuità, aspetto
tangibile ma che rivela tutta la mia tristezza.
Allora preceduto
e precedendo anch'io m'incammino. Finalmente respiro la
bellezza
di questo posto, quando riesco a sentirmi distante da tutto quello
che ho sin qui visto. Trovo un attimo di silenzio per cogliere con lo
sguardo la mestizia di alcuni narcisi che fanno capolino più in là.
Due forti scoppi rimbombano lungo tutta la vallata, rompendo la
brevità di quel silenzio ma non la cupezza di questa giornata votata
alla pioggia imminente. Probabilmente da qualche parte quelle mine
hanno distrutto qualcosa.
Anche
qui, e questa consapevolezza si fa strada in me, è stato distrutto
qualcosa. Cammino piano e dietro di me — o forse dentro di me —
tante persone ghermiscono il mio lento incedere e sembrano
ricacciarmi indietro...
Un lungo
ululato, interminabile, una sirena, una fabbrica che momentaneamente
si ferma, laggiù a Jesenice forse adesso sarà possibile aprire una
finestra. Mi fermo per rifocillarmi. Pochi minuti, ma la gente che
vedo sfilare è tantissima: patetica, stanca, scanzonata, malata,
simpatica, cialtrona, ridicola, invadente, allegra anche, giovane,
vecchia e... bambini che corrono, anziani che si trascinano e tutti,
tutti che salgono, vanno su. Ma non si vede niente. Cosa ci sarà? Ci
sarà qualcosa?
Uscito dal bosco
arrivo su un terrazzo erboso dove... c'è un rifugio, un altro,
questa
volta più consono ma pur sempre una stramaledetta costruzione di
mattoni che ingurgita e vomita continuamente troppa gente. Fuori ce
n'è altrettanta in attesa. Di che cosa? DÌ chi? La meraviglia e lo
stupore hanno lasciato il posto alla rassegnazione e alla curiosità,
curiosità di vedere come andrà a finire.
Cielo! La
cima! Vedo per la prima volta la cima della Golica, la cresta per
raggiungerla, il
ripido pendio che porta in cresta.
Dottore, sto
immaginando il Suo... «fresco verde primaverile e, sopra, quella
dovizia di fiori candidi, oscillanti e annuenti...». Sto soltanto
immaginando, perché fra i mille colori che vedo sono proprio il
verde e il bianco quelli che mancano. Sono scoraggiato,
demoralizzato, demotivato. Non c'è senso in tutto questo. Forse ho
sbagliato monte, sono pervenuto... che so... sull'antitesi di quella
Golica che avevo sognato leggendo il Suo racconto. Dottore; dovrà
scusarmi, so di ferirLa con questo mio resoconto, ma Si ricorda le
preoccupazioni che avevo sollevato con la mia precedente lettera?
Ebbene, se allora Lei avesse risposto con la sibillina frase «Ai
posteri l'ardua sentenza»? Ecco, ora io mi faccio portatore di
questa sentenza.
Perché
continuo a salire assieme a questa marmaglia che niente sa e nulla
capisce? La mia anima si è già rifiutata da un bel pezzo di essere
compartecipe di questa disgregazione culturale. Dottore, Lei ci
regalò con i suoi testi di montagna una cultura unica, con delle
immagini profonde e dai toni spirituali, ma qui, ora, essa trova la
sua fine.
Lassù in
cima, quando arrivo facendomi largo fra la nebbia, ho paura di
dover
lottare con i presenti per concedermi un centimetro di questa
ingloriosa
meta.
Tutto intorno è rimasto il nulla. Forse è meglio così. Chiudendo
gli occhi per non vedere e tappandomi le orecchie per non sentire,
forse potrei per l'ennesima volta immaginare il Suo mondo, Dottore,
ma a che servirebbe se non ad acuire questa mia già troppo grande
disperazione. Vorrei che fosse uno di quei brutti sogni, magari
premonitori, cosi, senza nulla rischiare, me ne starei
tranquillamente a casa a leggerLa.
Invece adesso
devo scendere perché di sogno non si tratta. Voglio scendere in
fretta e poco importa se sta anche piovendo a dirotto. Riesco
addirittura a sbagliare strada. Ma in questa confusione, che non è
soltanto mia e mentale, è facile perdersi per ritrovarsi chissà
dove, magari fra le pagine di un vecchio libro, dove credevo
d'essermi fermato a sognare, o, peggio, in un altro mondo che mai
avrei desiderato, o più semplicemente e realisticamente in fondo a
questa storia, pronto a fuggire da quest'aridità.
Prima di
svoltare quel fallace... angolo di salvezza volgo lo sguardo e...
lassù sulla Golica si adagia l'unico raggio di sole di questa
malinconica giornata. Un messaggio di speranza?
Devoti
ossequi...
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